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Il caso

Quante probabilità ci sono che si tratti di vera Chianina?

18 Febbraio 2013
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La probabilità di trovare carne di razza Chianina sul piatto di un ristorante è dell'uno per mille.

Di nuovo, siamo davanti ad un caso in cui i conti non tornano. Prosegue la nostra indagine sulla vera origine di quel pregiato Made in Italy proposto da sempre più numerosi ristoranti e locali (vedi articolo). Dopo avere ragionato su quanto pistacchio di Bronte effettivamente ci sia in giro, pochissimo in verità, per giustificare un così eccessivo uso del nome su etichette e menù, (cliccare qui per leggere l'articolo), passiamo ora ad un altra perla del paniere nazionale troppo abusata e usata come specchietto per le allodole proprio per lo status pregiatissimo delle sue carni. Quante volte riceviamo, infatti, l'assicurazione che quella che ci viene proposta e' Chianina? 

Ed eccoci nuovamente a fare qualche calcolo. In questo caso non serve spendere chissà quante parole, a parlare sono i numeri, quelli che ci ha fornito Stefano Mengoli, il presidente del Consorzio del Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale e che tutela oltre alla razza marchigiana e romagnola anche la razza Chianina. Al lettore la constatazione e la deduzione. 

Gli allevatori associati al Consorzio sono 2100. Le vacche di Chianina che partoriscono ogni anno sono 22.500. I vitelli che nascono in tutto sono 15mila. Di questi il 15 per cento circa viene destinato alla rimonta per sostituire i padri e le madri. I 13 mila rimanenti vanno a costituire i capi destinati alla macellazione, ma solo 11mila capi circa ricevono il marchio Igp Vitellone Bianco. L'80 per cento di questi va lavorata per i canali commerciali, grande distribuzione, macellerie. Poco più del 20 per cento invece va alla ristorazione. Da dove arriva allora tutta quella carne spacciata per Chianina? Come si sa, e come ci conferma il presidente del Consorzio, arriva da oltre confine: dal Nord dell'Europa, da Irlanda, Francia, Olanda, il restante cinquanta per cento dal resto del mondo, dal Sud America principalmente.

Ecco allora l'esigenza di un ausilio che possa aiutare il consumatore ad esercitare il diritto di essere informato. Noi abbiamo, provocatoriamente, proposto la carta delle bolle di accompagnamento. Mengoli si spinge più in là, suggerendo uno strumento che suona un po' futuristico ma che manca davvero poco a che il consumatore esigente possa farne uso: il kit del DNA. 

“Ci arriveremo ad usarlo – assicura iil presidente -, certo, ancora la procedura di amplificazione del Dna viene fatta in laboratorio di analisi, non è disponibile, ma verrà resa portatile, si tratta di un esame poco costoso, siamo intorno a venti euro, e si potrebbe applicare sul campione di carne che ci viene servita. Auspichiamo a che questo strumento venga messo a punto al più presto, è la nostra massima aspirazione”. Così si potrebbe verificare agevolmente, seduta stante, ci conferma il presidente, a quale razza appartiene la carne che ci è stata proposta.

“Sarebbe la proprietà dissuasiva più efficace, dà la certezza dell'esito e l'uso di queste metodiche potrebbe portare ad un cambiamento del costume, del modo di consumare, nel consumatore. Magari non si tratta del rilevamento di un problema di igiene ma di uno commerciale importante”, ribadisce. 

La frode attecchirebbe quando non c'è senso di responsabilità da parte di tutti o solo di qualcuno dei soggetti coinvolti nella filiera, dall'allevatore al consumatore stesso. “Ognuno ha il proprio ruolo – dice Mengoli -. Il ristoratore poi deve fare il suo mestiere e in primis chiedere la certificazione del prodotto per dare garanzie al consumatore, e devono essere anche i consumatori a pretenderla”, diciamo noi ad esigerla nel piatto. “Se vogliamo una Chianina – prosegue- dobbiamo imparare a chiedere una Chianina Igp. E poi la frode non è qualcosa di organizzato, è semplicemente uno stare nel vago, un far confusione tra fiorentine e chianine perché, attenzione, tanti fanno coincidere le due cose. Purtroppo la generale incertezza è favorita da molti”. C'è sempre poi la questione determinante del prezzo del prodotto di qualità “che però non è così esorbitante, come si potrebbe pensare”, avverte Mengoli. Perché si tratta di un 20- 25 per cento in più rispetto al prezzo medio della carne ordinaria mentre per i tagli pregiati si tratta di una maggiorazione del 25 – 35 per cento.

www.vitellonebianco.it

M.L.