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Il caso

Salaparuta, la disputa per il nome di una Doc finisce in un’aula di tribunale

08 Giugno 2016
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La citazione della storica azienda “Duca di Salaparuta” nei confronti del consorzio Vini Doc Salaparuta: “Usare quel nome crea confusione”, dicono. La replica: “Noi autorizzati dal Ministero e rappresentiamo un territorio”


(Pietro Scalia e Augusto Reina)

Alla fine la disputa è finita in un’aula di un tribunale. Tra il consorzio Doc Salaparuta e la storica azienda Duca di Salaparuta si andrà avanti “a colpi” di arringhe, avvocati e giudici.

La storia racconta questo. Da un lato c’è un consorzio siciliano, Doc Salaparuta appunto. Salaparuta è un piccolo paesino di quasi duemila abitanti in provincia di Trapani, ma il territorio che comprende il Consorzio racchiude 150 ettari di vigneti, 40 soci ed oggi circa un milione di bottiglie prodotte. Festeggia proprio quest’anno i 10 anni di vita. Presidente è Pietro Scalia.
Dall’altro lato del banco del tribunale c’è una storica azienda dei vini siciliani, la Duca di Salaparuta (rilevata dall'Espi, quindi dalla Regione Siciliana, nel 2001 dagli attuali proprietari, ma nata nel 1824), presidente è Augusto Reina, che comprende anche vini Corvo (nata nel 1824) e Cantine Florio (nate nel 1833), quasi 200 anni di storia, cantina storica a Casteldaccia, in provincia di Palermo e vigneti sparsi in Sicilia.

Al centro della disputa, l’uso improprio, secondo l’azienda, del termine Salaparuta. “Crea confusione nei consumatori – dicono dalla Duca di Salaparuta – ecco perché abbiamo fatto causa. Per tutelare noi e i nostri clienti”.
Perché è vero che il marchio Duca di Salaparuta è molto conosciuto. Assieme a Corvo e Florio sono tra i più famosi marchi di vino siciliano. “Ma quale confusione – dicono dal Consorzio – Non stiamo rubando niente a nessuno. Il nostro consorzio è stato autorizzato dal Ministero dieci anni fa. Ognuno, è chiaro, deve tirare acqua al proprio mulino e forse l’azienda Duca di Salaparuta si è sentita depredata di un nome. Ma non è assolutamente così”.
Insomma per il Consorzio, i due nomi non creano confusione, anzi sono compatibili. “D’altronde – continuano dal Consorzio – il loro nome è ormai straconosciuto e la firma Duca di Salaparuta scritta in corsivo è inequivocabile. Noi rappresentiamo un territorio, che ricade nelle zone del paese di Salaparuta. E non possiamo che chiamarci con questo nome, per identificarci al meglio agli occhi dei consumatori”.

La difesa del Consorzio, sostenuta da un noto studio legale milanese, insomma è chiara: loro sono una marca, noi siamo un territorio.
Dall’altro lato, però, l’azienda in questione, la Duca di Salaparuta spiega i motivi che hanno portato alla citazione in giudizio del consorzio trapanese: “La confusione tra i due soggetti è molto facile. Un’azienda come la nostra lavora per la tutela del proprio marchio e del proprio consumatore che non deve mai essere tratto in inganno”.

Insomma per loro quel Salaparuta aggiunto al nome del Consorzio potrebbe generare confusione. Ora però la decisione è di un giudice del tribunale di Milano, sezione tutela marchi. Oggi la prima udienza è stata rinviata. Di certo non ne sapremo di più nei prossimi giorni. Si sa che le “battaglie” in tribunale possono durare anche svariati anni. Ma nel caso il Tribunale si dovesse pronunciare a favore dell’azienda palermitana, si creerebbe un precedente storico che, a cascata, coinvolgerebbe decine di consorzi in tutta Italia. D’altronde non è la prima volta che l’Illva di Saronno, che possiede le tre cantine storiche siciliane, punti più sui suoi marchi che sui consorzi. Poco tempo fa infatti, come dicevamo qui, la Cantina Florio ha lasciato il Consorzio Volontario per la Tutela del Vino Marsala, tra le più antiche Doc del nostro Paese.

G.V.