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Il dibattito

Annamaria Sala, Gorghi Tondi: produrre in una riserva naturale? Andiamo oltre il concetto di biologico

26 Giugno 2012
sorelle sorelle


Annamaria e Clara Sala 

Esiste davvero un modo biologico di fare il vino? Annose questioni difficili da dipanare.

Nel 2011 l’Italia ha raggiunto, secondo i dati forniti dal Ministero delle Politiche Agricole, un giro di affari di circa tre miliardi di euro di cui 1,8 realizzati con le vendite al dettaglio e 500 milioni attraverso la Grande Distribuzione Organizzata. La Sicilia, come molti sanno, è una delle sei regioni in cui si concentrano in totale quasi il 70% delle superfici viticole biologiche con un totale di 7.674 ettari. Eppure quella del biologico è una strada in salita: la crisi economica e la mancata valorizzazione della produzione biologica anche in termini di prezzo rappresentano alcuni dei motivi che hanno spinto molte aziende a non intraprendere questo percorso.

In questo contesto l’azienda vinicola siciliana Tenuta Gorghi Tondi, che vede al timone Annamaria e Clara Sala, descrive una realtà vinicola molto interessante. La tenuta, infatti, nasce all’interno di una splendida riserva naturale del Wwf in cui è vietata ogni pratica nociva per l’ambiente e rappresenta un esempio concreto di come si possa ottenere un vino di grandissimo valore senza la certificazione ufficiale del biologico. Rappresenta, dunque, un eccellente esempio di quella che è la coltura integrata. “Le difficoltà che sono legate al biologico – dice Maurizio Gandolfo, direttore commerciale dell’Azienda Vinicola Gorghi Tondi – dipendono dalla non chiarezza dei controlli, che dovrebbero garantire che ciò che viene detto venga poi effettivamente realizzato”. Abbiamo chiesto ad Annamaria Sala le scelte che stanno alla base di questo modo di produtte in sintonia con la natura.

Perché la produzione del vino biologico si presenta come una strada tutta in salita?
“Credo che le difficoltà che sono legate alla produzione del biologico si focalizzano essenzialmente su questo problema: molti consumatori attratti dall’appellativo del biologico, non sanno che gli enologi sono costretti, in moltissimi casi, ad usare prodotti di sintesi che poco hanno a che fare con il biologico. Per appurare, infatti, che sia stato rispettato correttamente il disciplinare di produzione di un vino che può fregiarsi del termine “biologico”, bisognerebbe almeno quadruplicare il numero dei prelievi e di controlli da effettuare sia in vigna che nelle successive fasi di elaborazione dei mosti e dei vini”. 

Come produttori di vino cosa chiedete al legislatore italiano ed europeo nei confronti del biologico?
“Allo stato attuale il biologico non garantisce davvero la qualità per il consumatore. Chiediamo maggiore chiarezza e maggiori controlli e sicuramente un atteggiamento orientato verso un concetto di biologico presente anche in cantina, dove non devono essere utilizzati prodotti di sintesi, ma assolutamente naturali: biologici, appunto. Il biologico non deve essere soltanto immagine e marketing. Il nostro stile produttivo rispetta l’ambiente perché la nostra tenuta è anche Riserva Naturale del WWF, che ci ha imposto una serie di limitazioni, ad esempio, sull’uso dei pesticidi. I nostri trattamenti, oltre ad essere di modestissimo impatto ambientale, sono di gran lunga inferiori rispetto ad altre aziende. La nostra azienda pratica una coltura integrata, che non è definibile biologica, ma è certamente coerente con la realtà dei fatti. Effettuiamo circa tre trattamenti l’anno contro i nove-dieci, che normalmente effettuano nel Nord Italia. Una testimonianza concreta di quanto detto è quella che si rileva nelle analisi delle acque prelevati nei laghi di quella zona, i cui risultati hanno dimostrato – in modo inequivocabile – non solo l’assenza di qualunque pesticida ma anche la loro purezza, tale da renderle totalmente potabili”.

Quali sono gli obiettivi futuri che l’azienda Gorghi Tondi intende raggiungere nei prossimi anni?
“Il nostro obiettivo è anzitutto quello di consolidare ancor di più il binomio prodotto – territorio. Intendiamo poi sviluppare il nostro business internazionale, visto che il 20% della nostra produzione va all’estero, e promuovere il mercato dei nostri spumanti di Sicilia. I nostri vini, i nostri spumanti rispecchiano la loro realtà territoriale rendendoli unici e riconoscibili, tanto da suggerire la creazione di carte vini scollegate dal concetto di marca, ma orientate alla qualità, tanto da mettere in risalto le capacità conoscitive dei singoli sommelier. Il risultato del nostro lavoro più che le medaglie e i riconoscimenti lo danno i consensi che giornalmente riceviamo dai consumatori”.

I vostri palmarès 2012?
“Sono tantissimi. Al concorso mondiale di Bruxelles Rajah ha preso la medaglia Oro e il Kheirè la medaglia Argento, senza contare i premi vinti all’ Award di Londra o alla “selezione del sindaco 2012”. Ma il premio più importante per noi è il risultato di vendite ottenuto dai nostri Palmarès Spumanti di Sicilia che, grazie alla sua capacità di racchiudere territorialità, uvaggio (Grillo e Nero d’Avola) solarità e allegria siciliana, stanno giorno dopo giorno conquistando il cuore di tutti”.

Rosa Russo