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Il personaggio

Recupera e riapre un forno del 1862: “Lavorare in maniera antica è un’altra storia”

12 Dicembre 2019
Giampiero_Pecoraro Giampiero_Pecoraro


(Giampiero Pecoraro)

di Clara Minissale

Era il 1862 quando il padre del suo bisnonno mise per la prima volta la legna nel forno ed iniziò a preparare il pane. 

Centocinquantasette anni e diverse generazioni dopo, esattamente nello stesso posto, quel forno torna a funzionare. Una scommessa quella di Giampiero Pecoraro che si può già dire vinta, anche se il suo forno a legna aprirà ufficialmente i battenti dopo Santa Lucia, il 14 dicembre e sarà il terzo forno a legna ancora funzionante nella Città delle Ville, pronto per accogliere, oggi come allora, pane, pizza, sfincione come vuole la tradizione. Fornaio di quinta generazione, Pecoraro ha deciso di trasferire la sua attività, “Antico Panificio Don Pietro” dalla sede attuale in via Goethe, in quei vecchi locali di piazza Indipendenza a Bagheria, nel palermitano, che sono appartenuti da sempre alla sua famiglia.

“Nel passaggio delle generazioni sono cambiati i cognomi, da Vella a Riccobono a Pecoraro oggi, ma la famiglia è sempre la stessa e l’arte della panificazione è stata tramandata tra padri, figli e generi – racconta Pecoraro – Recuperare questo forno non è stato semplice, ma oggi siamo molto contenti di esserci riusciti perché lavorare con un forno a legna è tutta un’altra storia, più difficile, più faticoso perché non è semplice controllare la temperatura, ma per me è certamente più divertente”. Pecoraro, che impasta e inforna da ventotto anni, è cresciuto tra farine e lievitazioni. “Ero piccolo quando mio nonno mi portava a consegnare il pane a domicilio – ricorda – e per me questo è il mio mondo”.

Nella sua bottega solo lievito madre e grani siciliani già dagli anni '80 – quando ancora non si parlava di farine locali e grani autoctoni – e tanto tanto olio di gomito. Pecoraro infatti impasta tutto a mano, come si faceva una volta, sfruttando qualche piccolo segreto rivelatogli da quel nonno che già da ragazzino lo iniziava al mestiere. “Mio nonno mi diceva sempre che la qualità a lungo andare paga ed io questo non l’ho mai dimenticato”, dice quando mostra con orgoglio il suo sfincione bianco alto quasi tre dita “gonfia così solo per effetto della lavorazione. Qui si apre bottega ancora alle 3 del mattino, si impasta a lungo e non si usano miglioratori”, nello sfincione come nel pane.