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Il personaggio

L’Etna, il vino, la longevità non scontata. “E sui prezzi qualche vignaiolo esagera”

13 Marzo 2020
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Sandro Dibella, il proprietario di Cave Ox racconta il terroir del vulcano “posto unico al mondo”. Chiuso per ora anche lui. “Così ho deciso di vendere online i vini con lo sconto”

di Francesca Landolina 

Strano pensarlo chiuso al pubblico, senza turisti da tutto il mondo che trascorrono il loro tempo al suo interno, bevendo vini etnei, mangiando pizza e piatti tipici tra una visita e l’altra ad una cantina. Ma anche Cave Ox, il ristorante – pizzeria di Sandro Dibella, a Solicchiata, frazione di Castiglione di Sicilia, sul versante Nord dell’Etna si è fermato per le misure restrittive richieste dal decreto ministeriale al fine di combattere la pandemia da coronavirus. Parliamo di quel ‘non luogo’, per usare la parola dell’antropologo Marc Augé, che somiglia più ad uno spazio di transito oltre che di svago, di incontri e di contatti oltre che di piacere gastronomico, e che è stato capace, nel tempo di creare rapporti tra individui, produttori, appassionati di vino, giornalisti e lo spazio in sé stesso. “Abbiamo chiuso – ci dice Dibella -. C’è ancora qualche turista in giro. Qualcuno mi ha bussato e ho dovuto dire che non posso dare ospitalità, né per le camere, né per la ristorazione. Una situazione surreale. L’Etna del vino vive di turismo enogastronomico e qui la gente arrivava da tutto il mondo a ritmo pieno e sostenuto. Oggi siamo in questo clima di attesa e di speranza. E pensare che febbraio è stato un mese ottimo, da record, che ha visto ogni giorno gruppi di famiglie e di appassionati in giro per l’Etna. E il mio locale pieno. Con l’arrivo di marzo, il flusso è rallentato ma fino all’ultimo giorno della chiusura governativa c’era ancora qualcuno”.

La voglia di vino però non manca e c’è voglia di acquistare. “Ho deciso di vendere le mie bottiglie online con il 30 per cento di sconto, in questo momento. Basta collegarsi al sito e andare nella sezione vini”. “Il fatto di vivere in campagna ci aiuta – prosegue -siamo circondati da meraviglia, e per fortuna possiamo ancora stupirci del bello che ci circonda, ma anche qui vanno applicate le misure restrittive”. Un momento che richiede resistenza e mai sconforto. Bisogna andare avanti e continuare a pensare all’Etna del vino come la si pensava fino a qualche giorno fa. Parliamo quindi di argomenti che hanno comunque la loro importanza per il futuro dell’Etna. “Oggi più che mai penso che bisogna difendere e tutelare il nostro paesaggio – dice Dibella – ed impedire che la natura sia piegata agli interessi commerciali. Ho delle preoccupazioni per via di una sorta di monocoltura che si sta diffondendo. Qui abbiamo le sciare, una viticoltura da piccoli appezzamenti, che deve essere intoccabile. E bisogna agire oggi per evitare che accadano cose spiacevoli domani. Le quote per i diritti di impianto devono essere solo circoscritte all’Etna. Se estirpi a Piedimonte, impianti a Castiglione, per esempio. Metterei uno e più freni ai nuovi diritti di impianto. Semmai lascerei impiantare dove c’erano le vigne una volta, in posti difficili da lavorare, certamente, ma in quanti sono disposti? Dobbiamo dire no a spianamenti, per 10 ettari vitati, e sì ai piccoli appezzamenti per una viticoltura eroica da tutelare”.

E poi c’è l’aspetto commerciale. Dibella vende bottiglie di vino etneo ogni giorno a persone che arrivano da ogni parte del mondo. Ed osserva: “Le bottiglie che facciamo dobbiamo venderle e sempre meglio, mantenendo alto il livello dei prezzi, evitando prezzi ridicoli”. Ma attenzione: “Ci sono eccellenze che meritano prezzi alti, ma sono poche. In molti altri casi, si esagera. Mi spiego meglio: solo perché da qualche parte, in etichetta, puoi scrivere pre-fillossera o perché hai vinto un premio non puoi vendere un vino ad un prezzo ingiustificato. Si sta eccedendo. Pensiamo che si può comprare un Nebbiolo classico al ristorante, un vino con 500 anni di storia e con una longevità acclamata, al prezzo di 25 euro circa. Oppure un Barolo a 70/80 euro circa. Un Etna Rosso lo compri al ristorante allo stesso prezzo. L’Etna è un territorio sicuramente unico, ma senza una storia alle spalle tale da poter giustificare e da poter determinare un prezzo così alto; e poi la longevità non è scontata”.

E sul tema della longevità? “A parte qualche annata di qualche produttore, non penso che l’Etna possa stare in bottiglia 30 anni, 15 anni forse sì. Ho bevuto qualcosa del 2002 che mi fa pensare ad una bella longevità ma spesso riscontro che i vini vanno poi verso un’evoluzione che li rende tutti simili. Non ci sono vini di vecchie annate in giro per poter fare una comparazione e poi si tratta di vini che non hanno alle spalle lunghe esperienze di vinificazioni. Con i vini di oggi, forse si può pensare ad una diversa longevità, ma non possiamo testarlo adesso”.

E per i bianchi? “Gli Etna Bianco mi danno più piacere, se parliamo di vecchie annate – afferma-. Ma cosa regala la longevità? Si presta più un’annata fresca o una calda all’invecchiamento? Per i rossi, pare che le annate fresche e piovose donino vini più longevi. Prendiamo come esempio un’annata calda, la 2014, a distanza di 5 anni, i vini sembrano più stanchi. Per i bianchi invece non sembra così. C’è insomma ancora tanto da capire. Valuteremo, in futuro, la longevità, quando si potrà capire se è possibile essere un territorio importante anche senza la necessità di attribuire un valore alla longevità. Capiremo chi siamo insomma. Forse una grande zona con grandi vini da bere freschi”.

Da enotecario, da ristoratore etneo e da appassionato, non si dice favorevole alla Doc Etna per la tipologia spumanti. “Non ha senso, non ha storia. Non la condivido. Si possono fare buoni spumanti sull’Etna, non lo nego, ma non c’è questa cultura. Molti oggi fanno migliaia di bottiglie di spumanti. Già c’è confusione, per la nostra frammentazione, mi sembra un po’ superfluo aggiungerne altra. Per me la tipologia spumante non appartiene alla cultura etnea”. Ed infine afferma: “Manca ancora una conoscenza delle contrade. Si fa spesso confusione tra nomi di vigne e nomi di contrada. Bisogna costruire una mappatura chiara. Questo è importante per il futuro. Da appassionato, mi piacerebbe vedere il nome del Comune e delle frazioni in etichetta, proprio perché non si sanno individuare i luoghi delle contrade. Come in Francia, che mettono in etichetta nome di vigna e di villaggio. E direi che è ora di finirla con i nomi di fantasia”.

E per concludere un appello per favorire l’enoturismo e la crescita di tutti, ognuno per il ruolo che ha, e per un sostegno reciproco e solidale: “Ho girato decine di posti del mondo del vino ma nessun posto è come è l’Etna. Qui arrivano da tutto il mondo anche per questo magnetismo tangibile. Torneranno, appena tutto questo incubo finirà, e saranno ancora di più. Potrà crescere tutto. Possono crescere la ristorazione e l’accoglienza. Attenzione però alle pratiche di degustazione in cantina. Non proponete pranzi da ristorante, ma piccoli assaggi per una degustazione a palato asciutto. L’accoglienza alberghiera e l’offerta gastronomica lasciatela ad hotel e ristoranti. Mi auguro che ci sia una forte collaborazione tra ristorazione e cantine. Più di prima. E teniamo duro, perché torneremo presto alla nostra vita, più consapevoli delle nostre autentiche ricchezze”.