Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Il personaggio

Jacky, top chef cinese e la sua cucina italiana

26 Marzo 2013
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Dal Giappone ho imparato a gratificare lo staff, dall'Italia a comunicare con i clienti. Nel mio ristorante tutti devono essere felici

 
Jacky e la sua squadra

da Shanghai Bianca Mazzinghi

Il ristorante è sempre pieno, sia per pranzo, sia nei tre turni della cena.

Alle 18 iniziano ad arrivare i cinesi; poco dopo, verso le 19, è la volta di americani e inglesi; a partire dalle 20 chiudono italiani e spagnoli. Jackie si affaccia ogni volta dalla cucina per vedere le persone per cui deve cucinare: guarda inizialmente la fisionomia, quindi si avvicina al tavolo per chiedere conferme. “Gli asiatici vogliono una pizza meno cotta, ai francesi e agli italiani piace più croccante. Per la pasta e i risotti è lo stesso: più soft per i primi, al dente per i secondi”. Non solo la cottura, ma anche gli ingredienti, o meglio le dosi, variano in base alla clientela: i cinesi amano i piatti ricchi, le pizze molto farcite di formaggio e salumi. Jackie lascia i fornelli e arriva al tavolo, si presenta, e dopo una breve chiacchierata rientra in cucina consapevole di come accontentare gli ospiti. 
 
 
“Ho imparato a interagire con i clienti in Italia. Nel vostro paese molti chef vanno personalmente ai tavoli per presentare la cucina e chiedere un giudizio sui piatti. In Cina nessuno lo fa”. Xue Zhejun (薛哲君- tradotto letteralmente saggio monarca), per tutti Jackie, è un ragazzo di 32 anni con moglie e due figli, che dopo dieci anni di esperienza in patria e in giro per il mondo è riuscito ad aprire a Shanghai il suo ristorante italiano, Top Chef, “quello che non sono ancora ma vorrei diventare”. Cinquanta coperti, prezzi assolutamente contenuti se rapportati alla qualità, clientela divisa equamente tra cinesi e stranieri (10% italiani) e “tanto, tanto lavoro”.

Aveva 17 anni quando decise che questo sarebbe stato il suo obiettivo. Iniziò alle dipendenze di un cuoco giapponese appassionato dello stile italiano, che decise di seguire in Giappone dopo due anni di lavoro in Cina. Continuò a imparare dal “maestro” le basi della cucina nostrana, “ma aveva degli inevitabili influssi asiatici”. Da qui la decisione di trasferirsi in Italia per afferrare l’essenza e l’autenticità dell’arte culinaria dello stivale. Torino, Firenze, Napoli; altri due anni che iniziarono alla scuola
Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners) nei pressi del capoluogo piemontese e si conclusero tra le salse al pomodoro delle pentole campane, passando per salsicce e schiacciate toscane. “In Giappone – racconta oggi – non preparavamo noi gli ingredienti, arrivavano tutti pronti; la cosa bella dell’Italia è che spesso tutto viene fatto in proprio: dal pane ai sughi, dalle creme ai salumi, ricavati a partire dal maiale intero”.
 
Ogni paese è stato tuttavia utile alla sua formazione e il suo ristorante si regge oggi sulle decine di tasselli rubati qua e là in giro tra le numerose esperienze. “Dal Giappone ho imparato a
gratificare il mio staff: se la squadra è felice, il locale va bene. Le grandi aziende giapponesi hanno costruito la loro fortuna sul rispetto e la gratificazione dei dipendenti. Qui da me sono tutti felici, lavorano anche 14 ore al giorno ma sono tutti molto ben pagati e cerco di distribuire gli introiti anche a loro, in parti uguali”. Introiti che stanno crescendo molto negli ultimi tempi dato che oltre al ristorante, il team di Top Chef è sempre più richiesto per catering o feste private, “otto eventi nei prossimi dieci giorni”.

Mentre lo intervistiamo, sui tavoli ci sono i vassoi per il prossimo servizio, due ragazze mettono le bandierine con la scritta del ristorante sugli stuzzicadenti che andranno a guarnire i piatti. Jackie, nonostante il solito entusiasmo quando racconta le sue storie e la sua concezione di servizio,
appare più stanco dell’ultima volta e ci dice di aver dormito due ore. Per organizzare l’intervista abbiamo dovuto aspettare diversi giorni, sfruttando l’attesa per testare alcuni piatti come la zuppa di aragosta, il foie gras con mousse di pollo, la super lingua di bue con crema e insalata di rucola, bocconcini di una tenerezza impressionante grazie alle dieci ore di cottura in brodo; e ancora l’insalatina di mango e spinaci, il tiramisù ormai celebre tra la clientela italiana, il sashimi ricavato dal tonno di 90 chili comprato intero in giornata e la fiorentina, la specialità dello chef e il piatto che più ama cucinare, perché, ci dice, uno tra i più difficili. 


Pepata di cozze

In una terra dai sapori forti e complessi, quasi mai genuini, è facile restare ben impressionati dalla semplicità di ingredienti di qualità preparati e serviti in maniera impeccabile. “Una cucina italiana che valorizza il sapore dei singoli ingredienti ”, la autodefinisce lo chef. Molti alimenti sono importati, come la carne dall’Australia, il pesce dal Giappone, i prodotti tipici italiani. Frutta e verdura arrivano dai mercati locali; le spezie, come rosmarino o basilico, dal suo orto poco fuori città.

Un menu che cambia quattro volte all’anno dopo l’approvazione dei nuovi piatti dai venti
ragazzi dello staff, divisi equamente tra sala e cucina. “Tutte persone con un sogno – specifica Jacky – . Assumo soltanto chi mi dice che vuole diventare cuoco, chi ha passione e voglia d’imparare. Quando ho deciso di investire in un mio ristorante, ho chiesto soldi alla mia famiglia, alla famiglia di mia
moglie, a tutti. Ero tranquillo, dopo dieci anni di studio ed esperienza sapevo che sarei riuscito. Questo chiedo ai ragazzi, di avere un sogno e farlo diventare realtà”. 
 
Top Chef
169 Mengzi road, ruwan district,
Shanghai 
 Tel: (021) 53028132
Prezzi (convertiti in euro): antipasti e primi a partire da 8 euro, secondi da 15