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Il personaggio

Massimo Bottura si racconta al Daily Telegraph: “Io, la mia famiglia e il refettorio”

23 Ottobre 2016
Massimo-Bottura-for-Ristorante-Italia-by-Filipe-Barranco-web Massimo-Bottura-for-Ristorante-Italia-by-Filipe-Barranco-web

Il fascino e la bravura di Massimo Bottura non conoscono ormai confini. E' il re incontrastato della cucina mondiale, anche prima di ricevere il primo posto nella classifica Fifty best restaurants. 

The Daily Telegraph australiano gli ha dedicato un ampio servizio con tanto di intervista. E chi lo conosce bene, un po' come noi, sa benissimo quanto Bottura sia schivo e riservato e riluttante alle interviste dei giornalisti. Bottura ripercorre la sua giovinezza, racconta della sua famiglia, dei suoi cinque fratelli e sorelle, tre zii, due nonne: “Tutta la vita si svolgeva attorno ad un tavolo. Il cibo era estremamente importante per la nostra famiglia. E la mia mamma era una grande cuoca”.

Ha girato in lungo l'Italia e la Francia in tanti tour gastronomici, ha scelto di frequentare giurisprudenza, ma ha capito che la cucina era il suo mondo: “Alla Trattoria del Campazzo, gestita da Lidia Cristoni, a 10 chilometri dalla mia casa casa di Modena ho imparato come gestire una cucina e servire 60 coperti – racconta Bottura – E poi se avessi proseguito a giurisprudenza sarei stato un pessimo avvocato”, dice scherzando. 

Oggi il suo impegno per la cucina non è solo dentro quella dell'Osteria Francescana, ma ha avviato una serie di iniziative benefiche in favore dei poveri: “Rescued foof, il Refettorio, è nato come progetto per l'Expo di Milano – spiega Bottura – ma è proseguito, donando un pasto caldo ai senza fissa dimora che soffrono la fame”. Bottura spiega di come sia stato un progetto impegnativo, ma facile allo stesso tempo, “perché tutti i miei colleghi hanno risposto subito in maniera positiva al mio invito”. 

Il Refettorio, poi, da Milano si è spostato a Rio de Janeiro. E ce ne saranno altri sparsi in tutto il mondo. “A Rio dopo le Olimpiadi, il Refettorio ha proseguito le sue attività – spiega Bottura – e serve 100 pasti caldi al giorno ed è gestito da un gruppo stupendo di volontari, che è come se fossero la mia famiglia”. Tutti i grandi chef vogliono sempre fare il massimo per il loro locale, “ma possono solo dare da mangiare a persone che possono permettersi un certo tipo di ristorazione – dice Bottura – invece noi nutriamo le persone in maniera diversa. Non è solo una mensa per poveri. E' un progetto complesso, vario, che permette di recuperare spazi abbandonati, unire le persone, colmare la distanza fra ricchi e poveri, tra l'eccesso e la fame”.

Poi una parentesi sull'Australia: “Vedo un paese in crescita dal punto di vista culinario – ha detto Bottura – Sono stato qui sette volte. Ho mangiato in vari posti, anche stellati. La mia ultima visita? Al Bennelong dello chef Gilmore. Ho avuto la sensazione di mangiare in uno dei luoghi più belli della storia, sulla Terra”. I suoi ristoranti preferiti? “Sicuramente il Bennelong, poi il Four Seasons di Seagram Building nel centro di Manhattan a New York e quello di Ducasse a Versailles, in Francia”.