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Il personaggio

Michele Bean: ecco come farò i vini di Benanti

08 Febbraio 2012
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 “Ad un imprenditore che desiderasse cimentarsi nella produzione di vini dell’Etna suggerirei di non perdersi in progetti faraonici ma di puntare sulla semplicità nel rispetto dei diversi terroir, di avere poche idee ma chiare, di stare con i piedi per terra e di guardare sempre avanti”.

A parlare è Michele Bean dopo che Cronache di Gusto ha diffuso la notizia sulla sua collaborazione con Giuseppe Benanti. Bean ha preso il posto di Salvo Foti, l’enologo di vecchia data dell’azienda di Viagrande. 

L’Etna è un territorio vitivinicolo di riferimento in Italia. Lei dopo l’esperienza con Cottanera prosegue con Benanti. Rispetto agli anni passati l’Etna Doc si sta evolvendo? Se pensa di sì verso quale direzione? La tipicità, il legame col territorio è saldo?
“La Doc Etna è una realtà sempre più importante. I consumatori che la apprezzano sono in continua crescita. C’è ancora molto da lavorare, ma la valorizzazione dell’unicità del territorio, intrapresa dai produttori in questi anni, è certamente la direzione giusta”.

Come nasce questo legame professionale col Cavaliere Benanti?
“Quasi per caso. Ho conosciuto il Cavaliere Giuseppe Benanti a Ein Prosit 2011dove era intervenuto per raccontare il proprio territorio e la sua azienda. Tra i relatori c’ero anche io, chiamato a dare testimonianza della mia esperienza sull’Etna e nelle altre parti d’Italia. Mi colpì la sua presentazione e mi riconobbi nella sua visione etica. Proprio per Sant’Agata abbiamo siglato il nostro accordo che prevede l’esclusiva, fatta eccezione per Wiegner,  una piccolissima azienda situata nel nord dell’Etna, perché sono convinto che un enologo debba concentrarsi su uno sparuto numero di aziende del territorio condividendo la filosofia e la missione del produttore, proprio per ragioni di specificità. 

Qual è in generale il suo giudizio sul vino siciliano?
“E’ una che richiederebbe una risposta di molte pagine. Sicuramente ciò che più mi affascina di questa regione è la biodiversità e la ricchezza di espressioni che il territorio sa dare ai singoli vitigni. Trovo interessante l’asse Faro/ Etna/Vittoria/ Pachino. Credo inoltre che il Golfo di Milazzo avrà sviluppi interessanti.”

Quali consigli dare ad un produttore che si cimenta a produrre vini sull’Etna?
“Innanzitutto desidero precisare che, proprio per la peculiarità del Territorio etneo e dei vitigni autoctoni in esso esistenti, sull’Etna bisogna produrre “vini dell’Etna”. Credo che in questo momento il mondo del vino non abbia assolutamente bisogno di nuove aziende; ma che quelle già esistenti lavorino sempre meglio, certamente sì. Ad ogni modo, ad un imprenditore che desiderasse cimentarsi nella produzione di vini dell’Etna suggerirei di non perdersi in progetti faraonici ma di puntare sulla semplicità nel rispetto dei diversi terroir, di avere poche idee ma chiare, di stare con i piedi per terra e di guardare sempre avanti. E soprattutto, come dice il Cavaliere Benanti, di rifiutare la logica del poker “piatto ricco, mi ci ficco”. Infine, di armarsi di tanta pazienza. Nel mondo del vino anche dieci anni di viticoltura non sono nulla!”

Con quale animo si appresta a raccogliere l’eredità lasciata da Salvo Foti?
 “Con Tranquillità. Ci sarà da lavorare. E’ una realtà importante. Adesso sono solo all’inizio. Come dite voi siciliani “camminando andando”, quindi vedremo man mano”.