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Il prodotto

“Ecco quali sono gli Champagne più sopravvalutati e quelli più sottovalutati”

10 Dicembre 2013
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Nel mondo dei vini, l’immagine percepita spesso non combacia con le reali qualità del prodotto, in tutti e due sensi, positivo e negativo.

Per cui ci sono le sorprese quando si degusta una etichetta snobbata, non considerata trandy, fuori dalle grazie dei guru o perché frutto di una produzione di milioni di bottiglie e poi ci sono le delusioni, anzi queste spesso vengono rimosse o addirittura tradotte in assoluzioni. Dinnanzi a certi difetti espressi da icone come  fine wine, vini storici o cult si finisce con il chiudere occhi e papille. Avviene anche per gli Champagne. Lo sostiene Tom Stevenson il più grande esperto di bollicine, la penna più raffinata che racconta le bollicine francesi, firma di Decanter e adesso anche di Wine Searcher, che proprio in un articolo pubblicato per conto di quest’ultimo fa una lista bianca e una nera degli Champagne, indicando i cinque brand più sottovalutati e quelli sopravvalutati senza peli sulla lingua. Ecco uno stralcio per leggere l’articolo integrale cliccare qui.

I 5 produttori di champagne più sopravvalutati
Bollinger. Per Stevenson i vini della maison pagano lo shock ossidativo della sboccatura e la non aggiunta di solforosa in questa fase delicata . Dichiarando che un grado eccessivo di ossidazione è riscontrabile in tutte le cuvée e a nulla è servito scegliere una bottiglia con un collo più stretto per contenere il contatto con l’ossigeno.

Jacques Selosse. Stevenson lo declassa rispetto a Bollinger. Anche su Selosse solleva il problema dell’ossidazione e nelle degustazioni alla cieca, dice, si finisce sempre col chiedere una bottiglia in sostituzione. E ribadisce che è un vino venduto ad un prezzo troppo alto. Punta il dito contro opinion leader e commercianti che per giustificare taluni difetti valorizzano un certo tipo di note aromatiche, una tra tutte quelle di sherry, quando invece un tempo si decantava lo stile bourgogne.

Jacquart. Stevenson non promuove la Cuvée Alpha, sottolinea però la capacità della Coperativa Cogevi che produce Jacquart e altri Champagne, di produrre Champagne di livello, come fatto nel passato.
  
Gosset.
Lo spostamento della produzione nella nuova struttura di Château Malakoff ad Epernay non ha aiutato Jean Pierre Mareigner ad “evitare il rischio dell’ossidazione”, come scrive Stevenson, il quale decanta anche la bravura di Mareigner di avere firmato splendide annate.
 
I 5 Champagne sottovalutati

Charles Heidsieck. Lo inserisce nel gotha dei migliori, nel rango degli “stupefacenti”, riferendosi a tutte le tipologie di Champagne: dalla nv alla prestige cuvée. Sebbene i prezzi siano aumentati, per Stevenson sono in linea con la qualità.  
 
Piper Heidsieck. In costante miglioramento negli ultimi anni. Diffuso a prezzi accessibili  nei bar e ristoranti, e di alta qualità. Stevenson segnala il Non-Vintage Brut e il Rare Millésimé Brut.

Veuve Clicquot. Stevenson elenca quattro punti di forza della Maison. La riduzione del numero di annate, dichiarandone 3 ogni 10 anni. L’uso di botti di tonneau di rovere. L’aumento della percentuale dei vini riserva nel blending del non vintage, dal 33 al 55%. Dodici mesi di invecchiamento in bottiglia dopo la sboccatura prima del rilascio.  

Moët & Chandon. Fare grossi numeri non è per forza sinonimo di qualità scadente. Stevenson ricorda che la maison ha firmato alcuni tra i più grandi Champagne mai prodotti, come il 1921 e il 1911, definito dal critico un centenario in “forma clamorosa”. Inoltre  premia il lavoro di  Benoît Gouez, che ha preso il comando della produzione nel 2005, in particolare sul 2008, 2009 e sul non-vintage.

Palmer. Il più sottovalutato, per qualità e valore. Stevenson esalta la magnum Blanc de Blancs 1985: “to die for”. Usa due tipi di Chardonnay, dalle personalità completamente differenti, coltivati a Trépail sulla montagna di Reims e nella Côte de Sézanne.