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Il prodotto

L’aglio di Nubia: ecco perché è unico

23 Luglio 2018
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di Francesca Landolina, Nubia-Paceco (Tp)

Bisogna aspettare il buio della notte, a Nubia, per raccogliere l’aglio, perché le foglie, essendo più umide, consentono il lavoro manuale di intreccio dei bulbi.

Dopo la semina, da novembre a dicembre, maggio e giugno sono mesi di raccolto (in questo video mostriamo come avviene la raccolta). Ce ne parla l’agricoltore Giovanni Manuguerra. Lui coltiva l’aglio da sempre, è responsabile dei produttori Slow Food e presidente della cooperativa agricola Rosso Nubia. Arriviamo sul posto di mattina, molto presto, per assistere, nei campi, alla tradizionale pratica agricola che porta alla luce uno dei prodotti siciliani più tipici, dal 2002 tutelato come presidio Slow Food. Lo riconosciamo immediatamente. L’aglio rosso di Nubia ha un bulbo costituito mediamente da 12 bulbilli, le tuniche esterne bianche e quelle interne di colore rosso vivo. “Quest’anno è un po’ meno rosso del solito – spiega Manuguerra – per via delle piogge frequenti dell’annata, non delle migliori di certo”. Mantiene però intatte le sue peculiarità: intenso grazie al suo contenuto di allicina superiore alla media.

Siamo a Nubia, frazione di Paceco, “u paisi di l’agghi”, cioè il paese dell’aglio, ma l’area di produzione comprende anche la frazione di Dattilo e parte del comune di Trapani. Attualmente si coltivano circa 30 ettari in terreni scuri e argillosi e in rotazione con il melone, le fave e il grano duro. Da un ettaro si ricavano mediamente 20 quintali di aglio, ma il dato oscilla. “Possiamo arrivare a 40 quintali, ma dipende dalla stagione, dalle piogge che producono malattie”, spiega Manuguerra. E la grandezza dei bulbi varia di conseguenza. Contrariamente a quello che si pensa, il migliore è di dimensioni medie, con un peso di circa 35 – 40 grammi”. Assistiamo alla raccolta manuale. È il coltivatore Alberto Piacentino a mostrarci cosa accade. Sale sul suo trattore e procedendo, avanti e indietro, smuove il terreno, per poi raccogliere manualmente, uno ad uno, i bulbi, estraendoli dalla terra. Una fase faticosa sotto i primi raggi del sole. Ed è anche per questo che conviene iniziare alla 4 di notte. Una volta racconto, l’aglio viene messo ad essiccare, a ruota in modo che il sole non picchi sui bulbi, per circa 10 giorni prima della fase di intrecciatura.

Una pratica quest’ultima che si effettua da giugno a marzo e che viene affidata alle donne. Servono mani piccole, una grande manualità e tanta pazienza. Entriamo in un magazzino dove tre donne stanno procedendo ad intrecciare piano piano l’aglio essiccato. Secondo tradizione, viene confezionato in trecce molto grandi di 100 teste ciascuna, ma mediamente oggi ogni treccia ne ha 50. A seconda del diametro del bulbo, la “trizza” si chiama cucchia rossa (50 millimetri), cucchiscedda (30 millimetri) o mazzunedda (20 millimetri). L’aglio  viene venduto anche sfuso a 5 euro al chilogrammo. Se venduto in trecce, il prezzo varia in base alla grandezza. La treccia grande (fiorone) ha un costo di circa 18 – 20 euro, quella media (corrente) di circa 10-14 euro, quella piccola di 6 – 8 euro ed infine quella piccolissima che costa 3-5 euro.

“Da quasi 10 anni – afferma Manuguerra – esportiamo anche all’estero, in Svizzera, in Francia e in Germania. Il 50 per cento resta in Sicilia, il 30-35 va al Nord d’Italia e la restante parte oltre i confini nazionali”. Oggi quel paese, Nubia, è famoso per il suo aglio, che non manca mai in cucina e soprattutto nel tradizionale pesto trapanese. Nel piatto della tradizione, con suoi aromi e con la sua consistenza fa la differenza. Se lo acquistate, conservatelo in un luogo fresco e asciutto. L’aglio soffre l’umidità e se inizia a germogliare significa che non è più al massimo della sua “forma”. Anche se cotto, cambierebbe il suo sapore. Per il resto, è un prodotto tipico e prezioso, usatelo. Sapete quanto inciderebbe sulle vostre tasche il suo costo  rispetto ad un comune aglio di importazione spagnola? Beh, mezzo centesimo a spicchio. Pensiamo che ne valga la pena. Provate a fare un pesto alla trapanese con un comune aglio che non sia quello di Nubia e vi accorgerete che cambia tutto. In peggio. Lo sanno i ristoratori, soprattutto i siciliani, e ci auguriamo che preferiscano acquistarlo, spendendo qualcosa in più, per usare le migliori materie prime ed infine, ma non per ultimo, per sostenere la Sicilia più sana.