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Il prodotto

L’Ultimo dei Fascitrari e il nettare degli dei

31 Ottobre 2014
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Di eroi ne abbiamo fatto incetta, tra romanzi, fumetti e cinema.

Nell’epoca del food mediatico, non sarà da meno, assicuro, la storia dell’Ultimo dei Fascitrari, dell'amico apicoltore e del distillato che ne racchiude la missione. Ci siamo imbattuti in questo artigiano, ultimo vivente di una maestranza agricola che ha alle spalle più di due mila anni di storia, al Salone del Gusto. Carmelo Musumeci vive in simbiosi con le api da quando è nato. Custodisce una tecnica di costruzione di arnie già citata da Virgilio e sicuramente preesistente al tempo in cui scriveva, si pensa che già nel 500 a. C fosse praticata. Parliamo di un’arte davvero in estinzione, tra i tesori più antichi che vanta l’apicultura iblea e il territorio di Sortino, adesso rimasta nelle mani di un solo uomo. Siamo nel territorio più vocato alla produzione di miele della Sicilia, impervio, roccioso ma ricco di specie arboree, piante e arbusti aromatici. Come tanti altri mestieri, questo veniva tramandato in famiglia, solo per via paterna, da padre a figlio o da suocero a genero. Praticamente quella dei fascitrari era una casta. Si nasceva, si cresceva e si moriva fascitrari.

Per costruire l’arnia utilizzavano la ferula, un'apiacea da sempre diffusa nel Bacino del Mediterraneo. Attraverso l'intreccio dei fasci realizzavano una cassa a forma di parallelepipedo all’interno dei quali venivano posti i favi. Il fascetre era talmente all’avanguardia e raffinato che consentiva di non ricorrere all’apicidio per annegamento o per asfissia da zolfo. Tenuto volutamente segreto proprio perché garantiva l’integrità e l’alta qualità del miele. I grandi testimoni del passato affermavano quanto i latini apprezzassero particolarmente quello ottenuto da questo tipo di arnia.

L’efficacia dell’antichissimo strumento, tanto venerato allora, l’abbiamo potuta appurare anche noi contemporanei a Torino. Lo Spirito dei Fascitrari si è incarnato in un distillato inebriante presentato in anteprima al Lingotto. Il frutto di un progetto di recupero che oltre a Carmelo Musumeci vede coinvolti, come promotore e fornitore, l’apicoltore Sebastiano Saccuzzo, anche lui figlio d'arte e appartenente ad una famiglia di apicoltori, e la distilleria Giovi. L’anima di questa bevanda è proprio il miele ottenuto da un “alvei ex feruli texiti”, citando Varrone (1 Sec. a.C),  che ha cento anni di lavoro nelle sue nervature e fessure, costruito dal nonno di Carmelo. Il distillato, tra l’altro, potrebbe essere l'originario, il primo mai prodotto. Studiosi e storici potranno trovare una nuova traccia per ridatare gli albori della distillazione e magari connotarla nel lembo ibleo e non nel Causaso, come vogliono le leggende al momento più accreditate. La tecnica della distillazione sarebbe strettamente connessa al lavoro dei fascitrari. “Il metodo di estrazione del miele avveniva per torchiatura dei favi – spiega Sebastiano – Per recuperare la cera, considerata all’epoca più preziosa del miele, i fascitrari scioglievano i favi nell'acqua calda –  E qui l’intuizione che porta alla distillazione – . Questa era talmente carica di zuccheri che cominciava a fermentare. Qualche arguto fascitraro pensò bene di distillarla e fu così che nacque una bevanda unica nel suo genere. Per conferirle il colore e renderlo ancora più gradevole  aggiungevano un decotto di miele, fatto cuocere per 48 ore  e aromi vari”. Anche la ricetta non è mai stata svelata. Ogni famiglia di fascitrari aveva la propria. E rimane segreta anche la composizione di Spirito de' i Fascitrari. In realtà, il distillato di miele è una specialità rinomata del territorio di Sortino, prodotta da pochi, ma il nettare in questione è l'unico da miele dei fascitrari, potremmo dire il più vicino all'originale, quello che addirittura si versava nei calici dell'Olimpo.

Sappiamo solo un dato sulle proporzioni, tre chili di miele per un litro di distillato. Il velo di mistero che avvolge questa pratica così remota, la dolcezza morbida e suadente di cui è carico ogni sorso, suggestionano talmente la fantasia e i sensi da sentirci al cospetto di quell'elisir decantato nella mitologia. Il colore è brunato e intenso. Sprigiona note di caramello, cacao, di crema gialla, di vaniglia. Pieno al palato, si espande una dolcezza gentile e non stucchevole. Solo tre mila bottiglie prodotte, Un traguardo di piccole proporzioni ma importante che consentirà a Carmelo di recuperare la lavorazione delle arnie e allevare le api  secondo il protocollo ereditato dagli avi. Chissà che i fascitrari non ritornino sulla scena come maestri d'arte e di vita, autentici custodi del territorio a cui non solo gli dei devono essere riconoscenti. 

Manuela Laiacona