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Il prodotto

Un nuovo capitolo per il Nero d’Avola, in anteprima i cru naturali di Tonino Guzzo

28 Aprile 2013
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E’ la prima cosa che ho pensato appena ho posato il calice sul tavolo: prendere il file Nero d’Avola, archiviarlo e aprirne un altro.

Emozioni totalmente nuove da registrare. Quando c’è la mano di Tonino Guzzo possiamo dire che è sempre così. L’enologo agrigentino, di Aragona, riemerge sulla scena adesso con un progetto inedito che abbiamo il piacere di raccontarvi in anteprima. Stacanovista, costantemente concentrato sui terroir che segue, con il suo fare schivo le intuizioni le partorisce sempre in sordina per poi conquistare i palati attraverso l’effetto sorpresa. Ed ecco questa nuova chicca, verrebbe da definirli così i due cru di alta collina (450/500 slm) da cui nascono pochissime bottiglie. Due espressioni completamente diverse del territorio di Grotte, comune di poco più di sei mila anime non distante da Agrigento, il cui nome deriva proprio dalla caratteristica geologica di questa parte dell’entroterra della Sicilia, di natura calcarea, bucherellata da caverne e spelonche. A produrle sono i Gueli, Vincenzo e i suoi tre figli: Giuseppe segue la vigna e sta in cantina; Calogero si occuperà del commerciale e Davide, il più piccolo, avrà il compito di comunicare.


Giuseppe Gueli

Lo dico subito, solo per inquadrare lo stile. I vini sono, di fatto, naturali. L'espressione la uso di mio pugno senza che venga intesa come etichetta pubblicitaria adottata dalla cantina per dichiarare l'intenzione di volere stare a tutti i costi nel mood dei vini naturali. Anzi, Giuseppe, insieme a cui ho degustato questa en primeur, ha manifestato il desiderio di non voler caratterizzarsi sotto questa dicitura. “Non vogliamo definirli in questo modo – precisa-. Sono solo vini dove non c’è nulla, non gli viene fatto nulla”. In campo per coltivare i terreni si pratica il sovescio. In cantina, che non è una cantina ma un piccolo palmento, si usano il torchio a vite idraulico e vasche di cemento con vetroresina aperte, di 2,20 metri per 1,50, nelle quali la massa viene sottoposta a fermentazione spontanea per una ventina di giorni. A fare da starter sono i lieviti delle uve. Le follattura la fa Giuseppe sei volte al giorno. Poi viene lasciato tutto lì a macerare nella stessa vasca, per altri 15 giorni (le vasche vengono coperte con una lastra di plexiglass progettata dallo stesso Giuseppe). La malolattica avviene in acciaio. Infine barrique di rovere francese di quarto e quinto passaggio per l'affinamento, che dura due anni e mezzo a cui segue un periodo di sei mesi in bottiglia. Nessuna filtrazione e nessuna chiarificazione.


Svinatura tramite torchio


Follatura

Il processo sembra una vecchia fotografia, immortala il modo di fare vino di una volta. Retorico forse ma è proprio un ritorno al passato. Questo salto indietro nel tempo non ha il sapore della scommessa, Guzzo e i Gueli sapevano esattamente cosa potevano dare i due cru. “Alla fine lasciamo che faccia tutto il territorio. Basta assaggiare il vino per sapere da quale vigneto proviene“, aggiunge Giuseppe. In tutto cinque ettari coltivati, divisi in due appezzamenti distanti tra loro sei chilometri. Uno ha il suolo bianco, gessoso in contrada Rometta. Qui nasce Erbatìno. L’altro è calcareo argilloso ricco di scheletro e dà i natali a Calcareus.


Cru di Erbatìno


Cru di Calcareus


Le viti sono giovani, sono state piantate nel 2000, innestate in campo e non barbatelle da vivaio. Il vigneto è un mix di biotipi. “Le marze – spiega Giuseppe – le abbiamo prese dai campi della zona che ci piacciono di più. Le abbiamo innestate e hanno trovato un loro equilibrio”. I Gueli non sono nuovi alla coltivazione della vite. Vincenzo produceva prima Uva Italia.  Non riusciva però ad ottenere grosse quantità, perché i terreni sono poveri e perché davano all’uva colore, il chicco assumeva  sfumature dorate. Da qui l’intuizione che la vocazione di questi appezzamenti fosse per tutt’altro tipo di uva. Guzzo, conoscitore e amante come pochi del proprio territorio, non ha esitato a proporre il progetto vino e la tecnica artigianale. Sulla stessa lunghezza d’onda si è trovato subito Giuseppe che, forse per formazione e per i progetti di ricerca che segue per conto della Facoltà di Agraria di Palermo affiancando anche Attilio Scienza nello studio genetico dei vitigni siciliani, in particolare sui portainnesti, ha da sempre avuto questo sogno. Una nota va dedicata al sistema di allevamento. Quello usato dai Gueli è il tendone, il canonico per la coltivazione di uva Italia, e che può essere garante anche di vini di altissima qualità. “La nostra tradizione è questa – dice Giuseppe – Non capisco perché lo si debba demonizzare. Basta non forzarlo per fare quantità”.

Per ora solo 1250 bottiglie di ciascuna etichetta e debuttano con l’annata 2009. Creano un cortocircuito. Non sono i Nero d’Avola che ci si aspetta. Spiazzano. E poi nessuno dei due vini presenta difetti. Perfetti. Da manuale verrebbe da dire.

Calcareus è elegante, setoso. Scivola sul palato leggero, regala una bevuta piacevolissima. I tannini sono morbidi. Emoziona il profilo olfattivo. In continua evoluzione. Un “rollercoaster” sensoriale. Perché subito esprime le note del frutto, poi concede quelle più evolute del pellame e delle spezie per ritornare, di nuovo, alle nuance della marasca. Estremamente fine.

Erbatino lo si potrà capire fra qualche anno. Ma già mostra una personalità da fuori classe. Suadente al naso. Note balsamiche e di erbe aromatiche, spiccano il timo e la salvia, con punte di mirto. L’anima è quella del varietale: frutti rossi e marasca. A caratterizzarlo la finezza. Grande acidità, freschezza al palato, più concentrato dell’altro. Anch’esso mostra un profilo elegante sebbene ancora necessiti di tempo. Bisogna concedergli almeno 6 anni (Giuseppe consiglia di provarlo anche fra due). Un grande vino all’orizzonte che emoziona già adesso. Il prezzo di questi due esemplari è tra le 10 e le 12 euro.

Manuela Laiacona
 

Gueli
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