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L'azienda

Vendemmia dell’altro mondo

17 Settembre 2013
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Benedetto Alessandro

“Profumati ed economici, ma anche finti ed omologati”.

È tranchant il giudizio sui vini australiani di Benedetto Alessandro, enologo della cantina Alessandro di Camporeale, che per tre mesi ha affiancato i colleghi di una cantina un po' particolare che si trova a Hobart, capoluogo della Tasmania.

Particolare perché in Tasmania ci sono solo piccoli appezzamenti di vigneti sui monti, condizioni simili al Trentino-Alto Adige, e i singoli proprietari non trovano conveniente dotarsi di una propria cantina. Così il raccolto viene portato allo stabilimento che per conto terzi e ovviamente dietro un pagamento si occupa delle fasi che vanno fino all'imbottigliamento e all'etichettatura. Poi il vino torna indietro a chi ha fornito le uve per la commercializzazione.

“Alla cantina che lavora per conto terzi – racconta Alessandro – si può chiedere che tipo di vino produrre e la somma da pagare è stabilita proprio in base a questo parametro”. Alessandro è arrivato in Oceania a marzo ed è rimasto sino a fine maggio. “Il loro marzo – ricorda – è paragonabile al nostro settembre. La Tasmania ha un clima freddo e umido. Abbiamo iniziato con Chardonnay e Pinot nero da base spumante, a metà marzo siamo passati a Chardonnay, Sauvignon blanc e Pinot grigio da vino fermo, da metà aprile è toccato a Pinot nero e Riesling.

“La Tasmania – continua l'enologo – è molto diversa dall'Australia. Non esistono Syrah, Merlot e Cabernet, non troviamo aziende con centinaia e centinaia di ettari, sistemi meccanizzati di agricoltura e cantine gigantesche da milioni di ettolitri come succede a Melbourne e ad Adelaide”. Ma le pratiche enologiche utilizzate sono le stesse. E non hanno convinto Alessandro. “In Italia e anche in Sicilia – afferma – l'obiettivo è produrre vini che rispecchino le caratteristiche del territorio, lì raramente si attengono a questi dettami, sebbene il territorio sia estremamente vario. Hanno un'enologia a mio avviso manipolativa e il risultato sono tanti vini leggermente omologati fra di loro”. Ciò è dovuto anche all'utilizzo di macchinari innovativi come l'elettrodialisi. “Anche in Italia se ne consente l'uso ma con scopi di stabilizzazione, loro invece se ne servono per stravolgere il vino come gli pare e piace. Anche se – conclude Alessandro – pur essendo un po' finti quei vini piacciono al pubblico e i costi di produzioni sono estremamente bassi”.

Fra. S.