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L'azienda

“Ho piantato 57 uve diverse per cercare quelle perfette per l’Agro Pontino”

04 Aprile 2022
il_progetto_sperimentale_dei_57_vitigni il_progetto_sperimentale_dei_57_vitigni

“L’Agro Pontino è un territorio che mancava di una sua precisa identità enologica, ma faticosamente, e soprattutto con molta volontà e passione stiamo recuperando l’immagine di questo terra e delle sue notevoli potenzialità nel mondo vitivinicolo”.

Così Antonio Santarelli – patron di Casale del Giglio – racconta della sua azienda, situata a Le Ferriere, piccola frazione del comune di Latina, a circa 50 chilometri dal centro capitolino. “La difficoltà principale è che il vino laziale, ancora oggi, non viene valorizzato. Stiamo scontando il peso di secoli di produzioni votate soprattutto alla quantità e alla poca qualità”. Eppure l’intera zona ha vissuto una vera e propria rinascita enologica, soprattutto, in seguito alla bonifica delle paludi pontine iniziata nel 1924, dove le ricerche e le sperimentazioni di molte aziende locali, sono risultate, poi, decisive per la valorizzazione del territorio e delle sue produzioni agroalimentari e vitivinicole. “Qui è tutto nuovo, una storia del vino di questa terra è poco più che ventennale. C’è bisogno di cambiare le mentalità e di far conoscere anzitutto i vini laziali. E per quanto riguarda la qualità di questi vini, sono, invece, certo che sarà direttamente il calice a poter parlare”. Così per questo “switch on the mind” Antonio Santarelli ha deciso di puntare proprio sulla qualità dei suoi vini. In un progetto solido, che vede le sue radici nell’esperienza.

E di esperienza, nel mondo dell’enogastronomia, la famiglia Santarelli ne ha davvero da vendere. Era infatti il 1914 quando il mercante di vino, Berardino Santarelli, costituì la “Berardino Santarelli & Figli” dedita al commercio di vino e oli e 50 anni dopo, suo figlio Dino, diede, poi, vita a Casale del Giglio. Ma è nel 1985 che la famiglia inizia a sperimentare realmente il territorio dell’Agro Pontino, con un ambizioso progetto voluto fortemente dal figlio di Dino, Antonio: quello di ricercare i vitigni più adatti da allevare per la produzione di vini di qualità. “Perché lo sviluppo futuro della vitivinicoltura italiana non risiede solamente nel consolidamento dell’immagine di zone dalla grande tradizione, ma anche nel raggiungimento, attraverso opportune scelte viticole ed enologiche, di produzioni di alto livello” precisa Antonio Santarelli. Cosi l’azienda, seguita dall’occhio vigile di Paolo Tiefenthaler – che ieri come oggi continua ad essere l’enologo e il punto di riferimento della famiglia Santarelli e dei vini di Casale del Giglio – decide di mettere a dimora sui propri terreni ben 57 diverse tipologie di vitigni, sia italici che internazionali, con il fine ultimo di ricercare quelli più adatti per il territorio dell’Agro Pontino. “Abbiamo cercato di equiparare la migliore realtà del territorio con la migliore realtà del vino” continua Tiefenthaler. “Tanti studi sul terreno circostante alla tenuta e nel resto dei possedimenti dislocati in zone antistanti. E’ stato un lavoro immenso, ma fondamentale per l’intero areale che ha portato, in ultimo, ad individuare le specie che più si adattassero all’ambiente pedoclimatico. La vicinanza della costa tirrenica e l’influenza della sua macchia mediterranea, sono risultati gli elementi determinati per la coltivazione di Chardonnay, Sauvignon, Viognier e Petit Manseng per i bianchi, mentre per i rossi di Shiraz, Petit Verdot e Tempranillo”.

Così partendo da questi studi Casale del Giglio si è concentrata sulla coltivazione di questi vitigni producendo, oggi, da circa 180 ettari, una linea molto strutturata con 23 referenze. E’ una linea dall’ampio respiro internazionale, ma dove non manca la valorizzazione e la custodia anche dei vitigni autoctoni come il Bellone di Anzio, il Cesanese di Affile, di Olevano Romano e il Pecorino di Amatrice. E tra quest’ultimi sorprende il “Radix 2016”, un Bianco Lazio Igt prodotto da uve Bellone in purezza la cui fermentazione è affidata al solo ausilio dei lieviti indigeni. Ma sarà, poi, la macerazione delle uve in tonneaux e il suo passaggio in anfora ad esaltare le caratteristiche di questa antica varietà molto diffusa nell’area dei Castelli Romani e nei vigneti costieri di Nettuno. Affascina il colore, di un carico giallo paglierino luminoso che offre all’olfatto immediate note floreali di ginestra e di frutta bianca, rese intriganti da una sottile e vivace sensazione erbacea. In bocca vige un equilibrio dinamico, giocato tra un corpo morbido e appagante e una progressiva ascesa acido-sapida, riappianata in un rotondo finale e di buona persistenza.