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L'azienda

Il Pigato e le sue evoluzioni, il progetto di Vis Amoris

09 Gennaio 2013
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Pensare al Mediterraneo e trovarlo tutto concentrato in una piccolissima porzione di costa ligure.

E’ questa la sensazione che dà il Pigato Vis Amoris, nelle sei declinazioni che hanno voluto sperimentare Roberto Tozzi e sua moglie Rossana. Anche nell’ultima versione in Metodo Classico, tra l’altro prime bollicine di questa tipologia prodotta in Liguria.


Roberto Tozzi

La cantina è sulla scena enologica da pochi anni, dal 2004, e ha  intrapreso questa strada volendo raccontare ogni aspetto del Pigato. Sono partiti così i coniugi, concentrandosi solo su questo varietale. I loro vini non ne perdono nemmeno una delle sfumature del terroir in cui nascono. C’è la macchia mediterranea, dal timo al rosmarino alla lavanda, un exploit di erbe aromatiche, e c’è poi la sapidità che gli danno gli influssi del mare. Si comprende allora il perché dell’appellativo “aromatico” dato al Pigato dai Romani. Merito anche di un clima che porta forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, e nel caso di Vis Amoris dell’altitudine, perché i vigneti si estendono su tre terrazze, ciascuna con un suo profilo pedoclimatico con terreni argillosi o calcarei. In ognuna di esse il Pigato si impreziosisce di qualcosa ogni volta differente, sebbene il suo lato dirompente rimanga l’aromaticità. Siamo lontani però da quella con cui classifichiamo i vari Moscato, Traminer o Chardonnay, il bouquet del Pigato, anzi dei Pigato di Vis Amoris, è più schietto, nessuna esoticità o espressività suadente, regala (perdonando la retorica) tutto quello che si sentirebbe respirando a pieni polmoni se si passeggiasse tra quei vigneti. Per le sue caratteristiche e per come ce lo propongono i Tozzi, non si offre ai sensi come vino sul quale soffermarsi più di tanto, su cui indugiare con approccio analitico. Non lo consente appunto la sua schiettezza. Altro non è che il riflesso dell’approccio di Roberto e Rossana che da quest’anno produrranno a tutti gli effetti in regime biologico.

Nonostante le etichette siano frutto di un determinato progetto in cantina, dalla vinificazione tradizionale all’affinamento sui lieviti, dal batonnage in barrique alla fermentazione sulle bucce (l’antica procedura del “verum”), dalla surmaturazione in pianta al metodo Charmat, la freschezza è la costante, pura, verrebbe da dire. Siamo dinnanzi a etichette di estrema bevibilità. Ecco allora cosa non fa rimpiangere i grandi bianchi quando si sorseggia il Pigato dei Tozzi e nemmeno scatta il paragone con quelli (che puntualmente parte in testa non appena ci si approccia ad un qualsiasi bianco del nostro Paese). Lo ha compreso subito, volendo preservare questa prerogativa, un enologo che potremmo inquadrare come rossista. E’ Giuliano Noè, albese battezzato “barberologo”. Cogliendo le potenzialità del territorio ha dimostrato quante sfaccettature possa avere questo varietale e quanto grande sia la sua versatilità. Da qui la scelta di Roberto Tozzi di puntare tutto sul Pigato. Ha provato facendone solo duemila bottiglie, oggi la produzione rimane di piccola entità ma con 25mila bottiglie. L’ultimo esperimento, che non è stato condotto per seguire il trend delle “bollicine a tutti costi”, dimostra quanto ha da regalare ancora il vitigno, che sembra non smettere di sorprendere chi si prende cura di lui, come ha ammesso lo stesso Tozzi raccontandoci del Metodo Classico (24 mesi sui lieviti), vino che proprio l’enologo inizialmente non era d’accordo a fare e sul quale, poi, si è dovuto ricredere, rimasto completamente spiazzato dalle prime prove. Adesso per il mercato sono pronte 3500 bottiglie.

Il vino di casa, quello che si è sempre bevuto a pochissimi mesi dalla vendemmia o comunque nei primi tre anni, svela ancora un altro aspetto: la longevità. Promette bene nel tempo. “Regis” (che fa batonnage in barrique) e “Sogno”, il Pigato che Tozzi ottiene dalla terrazza più alta, dimostrano questa capacità. Quest’ultimo fa macerazione sulle bucce a temperatura controllata, l’intervento del legno è minimo, nell’ordine di un brevissimo passaggio in barrique a tostatura leggera e rimane in bottiglia per quasi un anno. Un vino fine e vivace. Che la cantina possa ulteriormente scommettere su nuove versioni di Pigato non è escluso, e il fatto che ne siano state fatte sei lo spiega proprio il “Pigato del debutto”, il Domè, quello che ha fatto accendere i riflettori della critica nazionale su questa piccola realtà. Nasce su terreni argillosi. L’affinamento sui lieviti dure 60 giorni e la fermentazione in acciaio. Primaverile, freschissimo in bocca, di grande equilibrio. Non stanca mai, e lascia presagire quanto il Pigato possa andare incontro a interessanti evoluzioni. Tozzi ha voluto coglierne anche quella dolce, tardiva con il Dulcis in Fundo, da uve lasciate in pianta fino a novembre dopo una potatura del tralcio adottata al raggiungimento del giusto grado zuccherino. Ma se dal Pigato il piccolo produttore ha tratto tanto è perché ha potuto “sondarne” le radici antiche,  per comprendere a fondo le potenzialità, uno sguardo al passato di parecchi secoli da cui ha ottenuto il Verum. Il nome spiega la tecnica con cui è fatto, quella della macerazione sulle bucce. Il 2011 Pigato Riviera Ligure di Ponente è stato eletto vino slow dalla Guida Slow Wine 2013. 

C.d.G.

 

Az.Agricola VisAmoris
Strada Privata Molino Javè, 23
18100 Imperia
Cantina: strada per Vasia 1 (50 mt dopo bivio per Dolcedo)
www.visamoris.it