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L'azienda

Prima i rossi, ora spumanti e bianchi. Podere Forte, la sfida in Val d’Orcia si amplia

18 Maggio 2020
pasquale_forte pasquale_forte

di Francesca Landolina

“Abbiamo piantato nuove vigne, faremo un bianco col Greco. Puntiamo su questo vitigno”. La nuova e bella sfida di fare un grande bianco in Val d’Orcia con un vitigno che viene dal Sud è di Pasquale Forte, l’imprenditore di origini calabresi, ingegnere-contadino, come ama definirisi alla guida dell’azienda agricola, Podere Forte.

“Il vitigno matura tardi, ad ottobre, e si porta con sé tutti gli aromi, per essere vendemmiato a metà ottobre. Ne abbiamo 4 ettari. Ma bisognerà aspettare 3 anni prima di vederlo sul mercato”, racconta. E tra le novità di prodotto, ci sono anche le bollicine, frutto sempre del lavoro svolto in sintonia con l’enologo, Christian Cattaneo. “Un bergamasco, Christian – dice Forte -. E questo dimostra quanto io creda nell’idea di Italia, con braccia e cuore aperti”.  L’azienda Podere Forte si estende per 500 ettari, di cui 22 a vigneti, nella Val d’Orcia (patrimonio dell’Unesco dal 2004), sulle colline senesi. Forte, classe 1948, è anche e soprattutto fondatore di Eldor, multinazionale dell’automotive, che guida dal suo podere in Val D’Orcia, dove produce 60 mila bottiglie l’anno. Nel 2022, Forte compirà 50 anni, vissuti da imprenditore. E se vigne e motori sono le sue due passioni più grandi, è la sua anima contadina a vincere su tutto: “Non riesco a staccarmi dalle mie vigne”, ci dice, mentre parliamo con lui del momento complesso che vive l’Italia dell’imprenditoria e del vino.

Cosa sta vivendo questo periodo?
“Viviamo un momento estremamente difficile per il Paese. L’impressione è quella di vivere un’aggressione di guerra, con famiglie in pena ed economia a rotoli”

L’Europa è vicina, secondo lei?
“No. Molto distante. E spiace. Noi italiani, forse, crediamo nell’Europa, da circa duemila anni, altri ci credono da poco tempo. Verso il Sud dell’Europa c’è un atteggiamento di sofferenza. E, in un certo senso, la storia ci punisce, perché non siamo mai stati capaci di diventare un popolo coeso”

Da calabrese che vive al Nord come vive quest’atmosfera?
“Sì, sono un calabrese che vive e lavora al Nord. E penso che la differenza non è mai stata risanata. Con profondo dispiacere, noto che non siamo un Paese che ha un orgoglio nazionale capace di unirci. In questi giorni, il Corriere della Sera omaggiava la bandiera italiana. Io spero che questa pandemia risvegli l’orgoglio nazionale”

Cosa la preoccupa maggiormente da imprenditore?
“Sinceramente, il fatto che il virus non sia ancora sconfitto in modo definitivo. E che possa esserci un ritorno all’epidemia. Non so se i fattori climatici siano veramente di aiuto, come si è detto in qualche caso, ma spero che la bella stagione serva ad indebolire i contagi. Il virus è ancora in mezzo a noi: questo è preoccupante”

Si è fatto un’idea del perché il virus abbia colpito così fortemente l’Italia?
“È difficile darne una spiegazione, ma forse i fatti di Codogno avrebbero dovuto farci aprire gli occhi, prima. Poi non sappiamo quanto sia vera la realtà comunicata dalla Cina”.

Dove investirebbe di più?
“Amo fare il contadino, l’agricoltore, quindi sulla mia terra”.

E le automobili e l’energia?
“Il momento è difficile, ma sicuramente l’innovazione governa tutta l’azienda. E questo ci facilita perché ci permette di vincere sulla concorrenza”.

Come produttore di vino che cosa teme per il futuro?
“Non ho molti timori, perché la natura segue il suo corso a prescindere da tutto. Tutto sommato la stagione 2020 per il vino è una bella stagione. Poi, se il vino non si vende oggi, lo si venderà domani. Anzi, diventa ancora più buono. Certamente, chi vive solo con la vendita della cassa di vino ed è fermo, è più sconfortato e scoraggiato, ma si ritornerà lì dove ci siamo fermati. Tutti vorranno riemergere e darsi da fare”.

Ma lei perché ha spostato i suoi interessi sul vino?
“Per pura passione. Chi fa questo mestiere, chi fa vino lo fa solo per passione. Poi, è nel mio Dna, mio padre lo produceva, in provincia di Catanzaro. Ed io seguo le sue orme”.

Qual è la sua idea di vino?
“Per me il vino deve portare un intimo piacere a chi lo degusta e lo accompagna al cibo, magari in compagnia di amici. Il vino è parte di un racconto, è un prodotto vivo. In più, offre un contributo di piacere salutistico” .

Perché ha scelto la Val d’Orcia?
“Per me è il luogo più bello del mondo, suscita emozioni ad ogni curva”.

Si può convivere con Montalcino e con la sua fama internazionale?
“Penso che la cosa più importante sia avere fiducia in sé stessi. Montalcino è come un caro cugino, che ci aiuta perché attrae sul territorio più gente, portandola fin qui. Il vino che poi è nel calice ha una sua espressione particolare e tipica, unica, e confido sull’operare bene, in ogni territorio”.

Qual è il suo vitigno di riferimento?
“Il Sangiovese, senza dubbio”.

Cosa si porta con sé dalla Calabria?
“I profumi del pane che faceva mia madre in casa. Lo condiva sempre con un filo d’olio e lo portava a tavola per la cena”.

Anche lei produce olio?
“Sì, coltivo 4.500 piante di ulivo”

E l’enoturismo?
“Importantissimo. Facciamo le visite e le degustazioni durante l’accoglienza in cantina”.

Farà crescere la sua produzione?
“Per la produzione di vino, oggi ci attestiamo su una quantità di circa 50 mila bottiglie ma l’obiettivo è di arrivare, nel tempo, a 150 mila”.

C’è un vino, bevuto in quarantena, che l’ha emozionata in particolare?
“Un vino di Thibault Liger-Belair, cantina francese che ha sede a Nuits Saint-Georges. Buonissimo è dire poco”.