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L'iniziativa

I segreti dei grani antichi e dei lieviti svelati all’Università di Palermo

16 Ottobre 2015
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di Manuela Zanni

Il pane e la pasta sono al centro della Dieta Mediterranea, ma c’è parecchia confusione sui tipi di grani che vengono utilizzati per la farina con cui vengono prodotti, grano duro, integrale, biologico, così come sui lieviti: chimico, naturale, lievito madre, di birra.

Per rispondere a questi interrogativi la facoltà di agraria dell’università di Palermo ha organizzato il seminario di in-formazione “Le mani in pasta”, finalizzato al chiarimento da parte dei relatori di tutti i dubbi su grano, farine, paste e prodotti da forno.
Il seminario è stato ideato e realizzato dai docenti Paolo Inglese e Giuseppe Di Miceli e moderato da Pietro Columba dell’università di Palermo, per comprendere quali sono le dinamiche alla base di un fenomeno sempre più diffuso tra i consumatori che è l’attenzione crescente alla qualità dei grani utilizzati. Tutti gli interventi hanno avuto la funzione di sfatare alcune errate convinzioni, utilizzando un linguaggio semplice ed immediato seppur supportato da apporti scientifici, storici e culturali.

Tra le errate convinzioni più comuni vi è quella, ad esempio, che i grani antichi non subiscano alterazioni e che siano meno raffinati, o che siano più digeribili, o che contengano meno glutine mentre è vero l’esatto contrario perché il miglioramento genetico ha aumentato il contenuto di glutine.
I grani antichi siciliani tra cui bidì, russello, senatore Cappelli, nel tempo hanno, infatti, subìto modifiche non solo in base all' ambiente che li circonda, ma anche al processo di lavorazione che ne altera il gusto. La tipologia e velocità di molitura, l'essicazione, l'estrusione, sono tutti elementi che, infatti, modificano le caratteristiche organolettiche della materia prima. I motivi validi per consumare grani antichi sono, piuttosto, aiutare i piccoli produttori, tutelare la biodiversità e la tradizione storica e culturale.

Se è vero, come spiega Biagio Pecorino, presidente del distretto unico dei Cereali, che il comparto cerealicolo ha un'incidenza del 17% sul fatturato globale del settore agricolo, lo è altrettanto che il prezzo del grano siciliano è uguale a quello del nord Italia meno il costo del trasporto. Secondo Dario Giambalvo dell’Università di Palermo “il punto di partenza è creare un distretto di cereali in Sicilia che dia un valore maggiore ai grani prodotti in modo da incentivare il consumatore a pagare un premium”.

“I semi sono piccolissimi eppure contengono la vita grazie ad un lavoro di circa 10.000 anni in cui l'uomo è riuscito a trasformare le piante perché altrimenti non avrebbero potuto non solo nascere ma neanche sopravvivere in alcun i luoghi- Gaetano Amato – dunque i semi sono un alto concentrato di biotecnologia. Sono venuti fuori da studi approfonditi da parte dell'uomo. Il commercio delle sementi non iscritte al registro è illegale. Tra i requisiti necessari per l'iscrizione vi è il valore intrinseco del seme, che include anche la sua storia in termini di commercializzazione. Chiunque può decidere di iscrivere una varietà da conservazione lo può fare tramite il registro delle varietà vegetali del Ministero”.

Un aspetto molto importante è stato, inoltre, trattato da Gianfranco Marrone nel suo intervento “comunicare la pasta” in cui ha spiegato che “prima di parlare di comunicazione bisogna interrogarsi su quali siano i suoi presupposti culturali poiché non mangiamo qualcosa perché è buono da mangiare ma perché è buono da pensare. Noi mangiamo segni, bisogna capire quali segni sono legati dalla gente all'idea di pasta. Di contro la pubblicità da sempre riguarda gli effetti della pasta in base a stereotipi culturali, ma non si parla mai di pasta. Quindi la provocazione deve consistere nel cominciare a parlare di pasta, del suo gusto, di ciò che evoca”.

Si è poi entrati nel merito dei diversi tipi di lievito esistenti e della loro influenza sul prodotto da forno come ha spiegato il microbiologo Nicola Francesca. “La differenza tra lievito madre e lievito di birra è data la complessità di aromi del primo contro la monotonia del secondo. Inoltre mentre il lievito di birra ha una lievitazione più veloce, quella naturale è molto più lenta e ha bisogno di più rinfreschi. Ciò rende il pane ottenuto con il “criscente” meno soggetto alle muffe, più vario dal punto di vista organolettico e con una maggiore conservabilità”.
Per concludere un panorama così ricco di spunti interessanti usiamo la citazione del direttore del dipartimento di scienze agrarie e forestali Ettore Barone: “U veru oru di chisto regno è lo Furmento”.