Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'iniziativa

A scuola con il maestro Sultano

11 Aprile 2012


Ciccio Sultano e Marco Corallo

“Il tratto unico della mia cucina è la Sicilia, la mia terra. Da qui tutto nasce e tutto si evolve”.

Così parlò lo Zoroastro della “Sicilian cuisine”, il “profeta” Ciccio Sultano che molto ha in comune col “Signore persiano che crea con il pensiero”. Perché la definizione  che meglio gli calza  è quella del cuoco cerebrale. E lui lo ammette: “Nei miei piatti cerco di esprimere l’essenza del territorio, la gente di un tempo, le suggestioni del nostro vissuto”.

Chi ha vissuto l’esperienza del “Duomo” di Ibla sa che cenare da Sultano è come afferrare con i denti una Sicilia palpitante. Un palpito cardiaco e cerebrale. Per dirla semplice, i suoi piatti  ricordano  all’anima le sue origini corporali e al corpo il suo significato spirituale. Eppure la “sua” cucina  parte da una base di  semplicità disarmante anche se, in verità, qualche volta vira sul bizzarro, altre sull’inconsueto, ma quasi sempre si esprime in forma declamatoria e illusionisticamente scenografica. Ovvero le stesse prerogative che definiscono il  barocco, la corrente artistica sviluppatasi nel diciottesimo secolo nella Val di Noto. Nel cui “cuore” Ciccio Sultano vive e alberga guadagnandosi la definizione del miglior ambasciatore al mondo di questa corrente.

E da un mese coniuga questo esercizio attraverso un nuovo strumento: la didattica. Un  corso di cucina che chiama semplicemente: “Q.b.” quanto basta. Lo riserva a solo sei fortunati prelati alla volta. Li convoca al suo ristorante  nel cuore di Ibla poi li prende per mano e se li porta a casa sua. Una bomboniera, con una cucina piccolissima  e un’atmosfera di una rimpatriata tra vecchi amici. Niente professori in cattedra né allievi sui banchi. Eppure di lì a poco inizierà una dotta conferenza su  “Antropologia e storia della cucina siciliana” spiegata come lo si può fare con i bambini delle elementari.

E te ne accorgi subito perché c’è una lavagna che campeggia sulla parete più grande che non elenca ingredienti ma disegna la storiografia delle civiltà arrivate e succedutesi in Sicilia. E infatti Ciccio inizia con una metafora: “La Sicilia è come un’arancina. Nell’involucro e nel suo contenuto c’è quasi tutta la sua storia gastronomica”. E usa la prima ricetta, “Pane tutto grano” per risalire alle origini, la nascita della civiltà, l’uomo che smette di peregrinare per coltivare i campi. “E sono stati i Greci a introdurre in Sicilia grano farine e pane. E poi gli ulivi e il suo olio”.  E mentre la sua spalla Marco Corallo perfeziona il primo impasto di acqua e farina lui sintetizza. “…poi arrivarono gli Arabi con i dolci e le loro spezie, gli Svevi col baccalà, gli Angioini… ecc”.

Il pane è infornato e si continua. Così Ciccio torna ad indossare i panni del cuoco carismatico ed ecco il “Sugarello con fragoline, cetriolo e capperi iblei” piatto che  porta ad un passo dalla sindrome di Stendhal.  E offre l’idea di un equilibrio palladiano in cui l’uomo (siamo all’antropologia) ordina ogni cosa ma facendo apparire tutto come il frutto di uno spontaneo allinearsi e organizzarsi della natura: “col sapore sapido del pesce accostato al delicatissimo profumo della fragolina e il contrappunto dell’acido del cetriolo e l’invadenza respinta e contenuta del cappero di Pantelleria”.

Con  “Il disagio della lumaca” terza ricetta, ecco che Ciccio Sultano racconta il sogno, che lo ha destato  dai sogni. “Vagheggiavo sin da bambino di diventare cuoco e questo piatto mi ricorda la mia infanzia,  l’aria aperta, i  campi bagnati dalle piogge, le lumache. Che finivano “arrostite” sui focarelli accesi per riscaldarci. E noi ce le mangiavamo calde calde. Qui ho scoperto il piacere  dell’autocottura e la passione nascente che mi ha portato poi a diventare un cuoco. E questo è un piatto che frequentemente propongo nei mei menu”.

Uno dei tanti piatti della sua terra ma tutta la creatività di Sultano è una specie di concentrato di Trinacria. E anche  “Il merluzzo-baccalà: un omaggio a Messina” e al suo “Stocco alla messinese” che  utilizzando gli stessi ingredienti, offre  una sintesi compiuta di tecnica, creatività e regionalità. Ma anche un compendio di “Storia delle cotture” con capitoli che  spaziano dalla “cenere e carbone”, utilizzate per le patate, alla cottura in sottovuoto e col microonde per il pesce.
Poi si passa a due ricette emblematiche: gli “Spaghetti artigianali di farine siciliane con polpa di ricci e frullato di asparago” (tra la campagna e il mare) .


Spaghetti artigianali di farine
siciliane con polpa di ricci e frullato di asparago selvatico


Merluzzo-baccalà in omaggio a Messina

“Qui in Sicilia  ci sono stati tutti. E questo è un esempio di cucina stratificata, nata dalla mescolanza infinita di razze e culture, la più complessa del Mediterraneo”. E il “Cosciotto e costolette di agnello siciliano con cialda croccante di grano Russello al fascino dell’antica Persia” (ecco un nuovo richiamo al  profeta persiano Zoroastro) dove ritroviamo piatti che raccontano quel sogno di cui sopra, ma anche l’ideale di un indissolubile matrimonio che si celebra tra territorio tradizione cultura, creatività e materia.


Coscio e costolette di vitello d’agnello siciliano con
cialda croccante di “Grano Russello

Confermato dai dessert finali, per congedarci: i due gelial mandarino, ganache di cioccolato bianco e al cioccolato scuro con savoiardi e crema al cardamomo.

Un’esperienza sconvolgente vivere tre ore gomito a gomito accanto a Ciccio Sultano mentre crea i suoi piatti.  Ma può anche succedere  che torni a casa portandoti dietro un paradosso: non ti ricordi un solo piatto, ma hai capito il senso della vita.

Stefano Gurrera