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L'intervento

Il caso Doc Sicilia col Grillo e il Nero d’Avola. “Attenti, il largo consenso è fondamentale”

17 Dicembre 2019
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L'intervista al presidente della FederDoc Riccardo Ricci Curbastro: “Le sentenze non si commentano, si studiano. Oggi non so se valga la pena spingere una denominazione verso il livello superiore a tutti i costi”


(Riccardo Ricci Curbastro – ph Vincenzo Ganci)

di Giorgo Vaiana

Il giorno dopo la notizia pubblicata su questo giornale sulla sentenza del Tar Lazio che ha bloccato l'operazione della Doc Sicilia sul Grillo e sul Nero d'Avola (leggi questo articolo>), parla Riccardo Ricci Curbastro, presidente di FederDoc. 

“Mi pare evidente – dice Ricci Curbastro – che le pratiche vanno istruite secondo le prassi e su questo non ci sono dubbi”. Per Ricci Curbastro, poi, “a mio avviso esiste una vecchia regola del coinvolgimento, del raccogliere attorno al tavolo di un progetto gli stessi produttori. E per fare questa operazione ci vogliono consorzi che siano veri consorzi, che creino consensi. E' difficile fare operazioni che toccano progetti futuri delle aziende senza coinvolgerli. Non entro nel merito, per carità, ma è una scelta dei produttori quella di decidere se fare delle cose nuove. Se si seguono le prassi, si devono seguire le prassi”. Ricci Curbastro non spiega meglio il suo pensiero, ma lascia intuire chiaramente i riferimenti. “Nello specifico non riesco a dare un giudizio nel merito – dice il presidente di FederDoc – Faccio fatica avendo letto solo le 40 e passa pagine della sentenza senza aver però letto le carte del ricorso presentato da Duca di Salaparuta e quelle di Doc Sicilia nella loro replica. E' giusto che un consorzio pensi al gradino più alto della denominazione, se ha voglia di farlo. Quindi che una Igt pensi alla Doc, così come una Doc possa pensare ad una Docg, ma mi pare altrettanto evidente che si debba dimostrare una crescita qualitativa e quantitativa, oltre che di notorietà. E nella sentenza ci sono dei passggi che stiamo approfondendo anche con i nostri legali. Le sentenze vanno studiate e non commentate. Noi come FederDoc, abbiamo il compito di avere il quadro chiaro della situazione, perché questo caso in futuro si potrebbe ripetere”.

Per Ricci Curbastro, però, l'aspirazione dei consorzi di ambire alla denominazione superiore, deve restare: “Non vedo perché no – dice – Lo prevede il sistema delle denominazioni italiane. Credo però che ci sono delle prassi che vanno tassativamente seguite. Quindi nessuno se la può prendere con il Tar. Bisognava invece pensare a delle assemblee con i produttori. Il più vaste possibili. Lo dico da presidente di FederDoc. Un cambio così epocale andava dibattuto nelle aule delle assemblee, si cercava consenso, si raccoglievano le firme, magari si litigava anche. Poi si ascoltavano i produttori contrari, cercando di venire incontro ai loro dubbi e alle loro richieste e solo dopo si poteva avallare un cambiamento con un risultato condiviso, non dico al 100 per cento, ma a larga maggioranza”. Per Ricci Curbastro restano i dubbi su questa operazione della Doc Sicilia che ha scelto di provare a togliere il Grillo e il Nero d'Avola alla Igt: “Non credo sia sempre necessario andare al livello superiore della denominazione per andare meglio sul mercato – dice – In Sicilia la riflessione non devo farla di certo io, ma gli stessi produttori. Basta leggere i numeri di bottiglie sia Igt che Doc del 2017 e del 2018. C'è qualcosa che non torna. Magari si possono fare riflessioni sul posizionamento, al netto di vendemmie disgraziate o meno. Abbiamo una fortuna noi produttori che facciamo parte di un consorzio: quella di essere artefici del nostro destino. Sia sulle denominazioni, che sulla legislazione, sul disciplinare e sulle scelte qualitative. Siamo i responsabili di noi stessi. Non possiamo prendercela con il presidente della Regione, con gli assessori regionali, con il ministro o con i parlamentari di Bruxelles. Le regole le scriviamo noi e se le scriviamo bene, facciamo la giusta promozione, otteniamo di certo dei risultati”.

Per Ricci Curbastro, se la Doc Sicilia è convinta delle sue ragioni “deve fare ricorso – dice – Fermo restando che, a una prima lettura, mi sembra che comunque qualche cosa vada sistemata”. Poi sulla questione della denominazione superiore dice: “Non so quanto convenga a una Igt diventare Doc e ad una Doc diventare Docg – dice – Secondo me non vale più la pena. Oggi c'è un sistema di tracciabilità molto efficace. In Italia ci sono 525 denominazioni, fra Igt, Doc e Docg, con quest'ultime che sono 70. Già facciamo fatica a far comprendere all'estero alcune regioni d'Italia. Figurarsi parlare di mini-territori. O ti chiami Barolo o Chianti Classico, oppure è davvero difficile raccontare i territori a un americano o a un cinese. Sono convinto che la situazione giusta sia quella di rifugiarsi tutti sotto ad una denominazione più grande, una sorta di “cappello” che contenga tutti. Basta poi aggiungere le sottozone. Ne beneficerebbero tutti”.