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L'intervento

Etna, due-tre cose da sapere

17 Aprile 2012

Abbiamo chiesto a Salvo Foti, enologo e agronomo profondo conoscitore del territorio etneo, due-tre cose da sapere sull’Etna che potranno essere utili ai giornalisti ospiti di Sicilia en Primeur, l’evento di Assovini Sicilia in programma dal 20 al 22 aprile presso l’Etna Golf Resort&Spa, a Castiglione di Sicilia. Ecco i suoi consigli e note in un elaborato che parte dal mito e giunge ad approfondimenti sull’alberello. 

di Salvo Foti

Cosa non perdere dell’Etna
– l’alba vista dal cratere centrale
– il castagno dei cento cavalli a sant’alfio (3-4.000 anni)
– un palmento etneo per la vinificazione del vino dell’Etna
– antico vigneto ad alberello su terrazze esposte ad anfiteatro con dietro l’Etna e davanti il mare.

Curiosità
Anche Cleopatra venne rapita dalla potenza del Vulcano fu Cleopatra. Quando risalendo, con Marc’Antonio, il Nilo verso Luxor venne colta dal vento che spirava dall’Etna verso il delta del Nolo. Apollodoro, cuoco catanese della regina, spiegò che quel vento era il “ripuddu”, carico di scorie eruttate dall’Etna che rendevano  fertile il terreno per gli ortaggi e per la frutta coltivati in Sicilia.

Gli Egiziani quindi ben conosconoscevano questo fenomeno che si ripete sin dall’epoca greco-romana. Persino gli astronauti americani di ritorno dalla loro missione lunare dissero di aver visto da lassù il pennacchio di fumo emesso dall’Etna. 

Etna tra mito e bellezza paesaggistica
La storia dell’Etna è antica. E’ iniziata con una lunga e suggestiva vicenda geologica, durata, forse, 500 mila o 700 mila anni, che ha dato origine alla regione etnea ed al vulcano più alto d’Europa.Il mito del Vulcano è ancora, se possibile, più antico. Miti e storie. Filosofi, viaggiatori e uomini comuni, ne hanno subito l’irresistibile fascino. Il filosofo presocratico Empedocle non seppe resistere al richiamo del mito tanto da cercare nel suo fuoco la salvezza, trovando l’eternità.

L’unicità di un territorio tra mare e fuoco
Nella regione etnea (zona ad Etna Doc) esistono delle sostanziali differenze climatiche, non solo rispetto al resto della Sicilia, ma anche tra una zona e l’altra del vulcano (l’Etna è un’isola nell’isola). Ciò è dovuto al fatto che esso si sviluppa su una superficie troncoconica e alla vicinanza del mare. 

L’uomo, nella selezione che ha svolto sui vegetali destinati alla coltivazione, ha dovuto tenere conto della particolarità degli ambienti etnei.Tant’è che i vitigni autoctoni selezionati nei secoli, per i diversi ambienti dell’Etna, sono coltivati esclusivamente nel territorio etneo o addirittura solo in alcune contrade di esso.

La particolarità di questi vini, oltre alla benefica influenza della vicinanza del mare e alla singolare giacitura dell’Etna è dovuta  al tipo di terreno: sabbie vulcaniche originatesi dallo sgretolamento delle colate laviche.

Il  Clima
Il clima della zona etnea cambia in relazione al versante  del vulcano ed all’altitudine. Nella zona interessata alla viticoltura, si registrano in generale temperature medie più basse rispetto a quelle dell’Isola. Le minime, specie nel versante est, in inverno e anche nel periodo dell’inizio germogliamento, non di rado scendono sotto lo zero, potendo così arrecare qualche danno alla vite. Le massime in estate non sono quasi mai elevate.

Particolarmente interessante, dal punto di vista enologico, sono le escursioni termiche che si registrano nel periodo primaverile-estivo (oltre i 20 °C tra giorno e notte).

Una differenza sostanziale rispetto al resto della Sicilia si ha nel caso delle precipitazioni. Anche qui tutto dipende dal versante, sono molto più elevate nella parte est del vulcano.

Mediamente sui 400 mm/anno (contro la media regionale di 500 mm/anno), non creano problemi qualitativi e sanitari alle uve proprio per il tipo di terreno sabbioso-vulcanico con elevato potere drenante.

I  Terreni
La natura del terreno della zona etnea è strettamente legata alla matrice vulcanica. Può essere formato dallo sgretolamento di uno o diverse tipe di lava, di diversa età e da materiali eruttivi quali i lapilli, ceneri e le sabbie.

Lo stato di sgretolamento e la composizione delle lave e dei materiali eruttivi da origine a terreni  composti, o da  particelle molto fini o formati da tantissimo scheletro di pomice di piccole dimensioni, detto localmente “ripiddu”, con capacità drenante molto elevata. Sono ricchi soprattutto in microelementi (ferro e rame) e privi di calcio.

I  vitigni autoctoni etnei più importanti
(tratto da Etna I Vini del Vulcano di Salvo Foti, Maimone Editore, I ed. 2005, II ed. 2012)

Nerello Mascalese
Il Nerello Mascalese, Niureddu mascalisi o Niureddu, è il vitigno principe autoctono della zona etnea. E’ stato selezionato dai viticoltori etnei, parecchie centinaia d’anni fa, a Mascali, paese alle falde dell’Etna.

Questo vitigno entra nella costituzione dell’Etna Rosso a Doc per non meno dell’80%. E’ diffuso in tutta la regione etnea dai 350 sino ai 1.050 m.t. s.l.m. . Come tutti i vitigni autoctoni etnei, è a maturazione tardiva (2ª decade d’ottobre).

Dà origine a grandi vini rossi da invecchiamento in cui predominano sensazioni olfattive di fiori, tabacco e spezie, insieme ad una tipica gradevole tannicitá. Caratteristiche fortemente influenzate dall’andamento climatico dell’annata:
Nella zona etnea è facile trovare vecchie o vecchissime vigne ad alberello di Nerello Mascalese, arrampicate su tutto il monte con l’aiuto delle nere terrazze di pietra lavica.

Nerello Cappuccio
Il Nerello Cappuccio o Mantellato , (Mantiddatu niuru o  Niureddu Ammatiddatu), vitigno  autoctono della zona etnea, deve il suo nome al singolare portamento (cappuccio, mantello) della pianta coltivata ad alberello.
D’origine ignota è stato da sempre presente, in piccole percentuali (15-20%), insieme al Nerello Mascalese, nelle vigne etnee e in altre province siciliane. Negli ultimi decenni ha registrato un continuo abbandono da parte dei viticoltori, tanto da rischiare l’estinzione.

Entra nella costituzione, insieme al Nerello Mascalese, del vino Etna Rosso a Doc, in misura inferiore del 20%. Vinificato in purezza dà vini pronti, da medio invecchiamento. Il Nerello Cappuccio ha grappolo medio, corto, piramidale con acino a forma sferoidale. L’uva  matura, secondo la zona in cui è coltivato il Cappuccio, tra la seconda settimana di settembre e la prima decade d’ottobre.

Carricante
Il Carricante è un vitigno autoctono antichissimo dell’Etna. Il nome pare gli sia stato attribuito dai viticoltori di Viagrande che diverse centinaia d’anni fa lo hanno selezionato.

E’ diffuso particolarmente nei versanti est (950 m.t. s.l.m.) e sud (1.050 m.t. s.l.m.) della regione etnea, nelle contrade più elevate ,dove il Nerello Mascalese difficilmente matura o nei vigneti in miscellanea con lo stesso Nerello Mascalese e con la Minnella bianca.
Entra nella costituzione dell’Etna Bianco (60%) ed Etna Bianco Superiore (80%) a Doc. Come tutti i vitigni autoctoni etnei é a maturazione tardiva (IIª decade d’ottobre).
Dà vini contraddistinti da un’elevata acidità fissa, da un pH particolarmente basso e da un notevole contenuto in acido malico, tanto che ogni anno è indispensabile far svolgere, al vino, la malolattica.

A tal proposito già il Sestini (1774) citava l’uso dei viticoltori delle zone più alte dell’Etna, di lasciare, il vino prodotto con il Carricante, nelle botti sulle fecce (la madre) in modo da favorire in primavera la cosiddetta fermentazione malolattica e smorzare così l’accentuata acidità (‘u muntagnuolu) tipica di questo vino. Conferisce inaspettata longevità, lo si può paragonare paragonati ai Riesling alsaziani, in cui predominano sensazioni olfattive di mela, zagara, anice, insieme ad un tipico gradevole nerbo acido al gusto. 

Alberello Etneo: estetica ed eccellenza
(tratto da: Quaderni di Viticoltura Etnea di Salvo Foti)

Gli agronomi latini nell’impianto di piante arboree prediligevano il quinconce. Lo ritenevano il miglior modo di disporre fra loro le piante. Tale schema soddisfaceva le esigenze dell’ordine (la conta degli alberi), dell’economia dello spazio (le piante sono abbastanza vicine da sfruttare al massimo il terreno disponibile, ma non così vicine da nuocere le une alle altre) e dell‘estetica della visione: un gradevole aspetto dato dalla loro simmetria. Un impianto a quinconce è un impianto armonico che da una piacevole lettura del paesaggio.

Risulta simmetrico a prescinde dalla irregolarità delle terrazze, che si rendono necessarie per la coltivazione della vite in un territorio contraddistinto da una particolare orografia e dalla tipologia del  terreno sabbioso-vulcanico. 

Un tipico vigneto etneo ad alberello è quello formato da diverse terrazze dalle forme irregolari e variabili, che via via risalgono il monte, in cui non si nota questa irregolarità se noi guardiamo le viti con il loro palo di castagno.

Fisiologia del vigneto ad alberello
Ogni vite è un individuo; l’insieme delle viti in un vigneto forma una popolazione, una comunità. Le relazioni tra i componenti di una comunità influenzano il comportamento dei singoli.

Lo stato e il comportamento vegeto-produttivo di ogni singola vite è regolato dai rapporti reciproci all’interno del gruppo, cioè del vigneto. Questi rapporti dipendono dalla posizione occupata, (spazio disponibile per ogni vite) da ogni singola pianta.

Nel caso dell’alberello a quinconce questo spazio disponibile per vite è perfettamente omogeneo. L’insieme delle piante coltivate deve interagire ed è condizionato dall’ambiente, cioè dall’andamento climatico e dal profilo del terreno, dalla superficie sino agli strati più profondi della terra dove può arrivare con le radici la vite.

L’insieme delle viti, il vigneto, alla qualità-quantità dell’ambiente, risponde attraverso un’autoregolazione che condiziona l’attività radicale, la crescita dei germogli, la quantità di produzione e le caratteristiche del prodotto finale.
Quindi si può dire che la fisiologia della vigna è una fisiologia di gruppo. La vigna nel suo insieme risponde come un unico organismo.

Ma il viticoltore non deve dimenticare che all’interno di esso ci sono delle variabilità che rendono necessari interventi diversificati. Un sistema di coltivazione finalizzato alla meccanizzazione non può tenere conto di questa variabilità (biodiversità).

L’alberello costrinnge la pianta a svolgere l’attività radicale ad una maggiore profondità per giovarsi dei costituenti minerali che si trovano negli strati più profondi del suolo.

Nel vigneto con tutore si ha il più alto rapporto radici/foglie. L’omogeneità e la simmetria di spazio nel terreno, le lavorazioni, la mancanza dell’ apporto di acque di irrigazione artificiale, induce la pianta ad una propria autonomia e ad un equilibrio che nel tempo risente sempre meno di repentini sbalzi climatici esterni, di drastiche lavorazioni o inadeguate concimazioni.

L’alberello, proprio per l’equidistanza tra le viti e la loro altezza, consente  di avere la massima esposizione ai raggi solari, sia quelli diretti che indiretti, provenienti dalla rifrazione del terreno.

Una vigna ideale deve avere un assetto vegeto-produttivo che, con il minimo apporto di prodotti esterni, manifesti un’elevata predisposizione all’accumulo e all’espressione dei caratteri territoriali. Questo equivale ad avere la massima stabilità del sistema nel tempo ed il minor apporto energetico possibile per mantenerlo in produzione (bassa entropia del sistema). 

I motivi perché oggi il sistema ad alberello, che prima dell’arrivo della fillossera era il più diffuso in Europa, è poco utilizzato sono di tipo:
economico. Esso risulta molto costoso per il fatto di non essere meccanizzabile, in quanto gli interventi agronomici sono quasi esclusivamente manuali;
umano. Per una corretta ed efficace gestione del vigneto ad alberello è fondamentale che il viticoltore abbia una capacità e una professionalità moltodi lunghissima esperienza nel territorio in cui opera. Deve avere acquisito in tanti decenni, se non da generazioni, delle specifiche capacità manuali impossibili da trovare quando si deve ricorrere a manodopera esterna, proveniente da paesi esteri senza nessuna tradizione vitivinicola. E’ per questo che la coltivazione del vigneto ad alberello trova nel proprietario-viticoltore la sua massima espressione.