Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervento

“La ristorazione cambierà e anche molto. E io dico basta ai piatti più belli che buoni”

14 Maggio 2020
giovanni_guarneri giovanni_guarneri

Giorni di riflessione quelli che hanno ci hanno accompagnato negli ultimi due mesi e mezzo, giorni che hanno rivoluzionato le nostre vite e che molte ancora rivoluzioneranno prossimamente, giorni per fare bilanci e proporsi nuovi obiettivi.

Noi abbiamo raccolto le riflessioni dello chef Giovanni Guarneri, patron dello storico ristorante Don Camillo di Siracusa che in questi giorni di fermo forzato si è interrogato sul valore della cucina di oggi e su quali saranno i possibili scenari.

di Giovanni Guarneri*

“Il quesito che tutti ci siamo posti, addetti al settore e non, in questi giorni di quarantena è stato sempre lo stesso: come si evolveranno la cucina e la ristorazione di alta qualità alla ripartenza? Io mi auguro che questo periodo di profonda riflessione, costretti in casa da un nemico invisibile, ci abbia reso migliori, ci abbia dato il coraggio di mettere alla gogna quelle che secondo me sono le aberrazioni di un settore sempre più globalizzato, ormai poco identitario e spettacolarizzato da tanti effetti speciali, un settore che si è andato sempre più discostando dalla sua missione originaria: saper fare da mangiare e donare gioia attraverso questo mestiere.

Cambieremo dunque, è inevitabile, ma in che modo? Per me è fondamentale che la cucina resti italiana, con declinazioni del territorio che rendano merito alle venti cucine regionali, evolvendola ma sempre onorando 2.500 anni di storia, da “Miteco” ai nostri giorni. Ancor di più, è fondamentale che la forma resti italiana nell’approccio alla tavola: il nostro pasto è composto da antipasto, primo, secondo e dolce. Magari i tempi sono cambiati e oggi non mangiamo più quattro portate, ma che almeno due di queste, più eventualmente il dolce, diano il senso del “desinare” di antica memoria. E che sia il gusto il protagonista assoluto. Il piatto deve essere dunque principalmente buono, ma anche pulito, alla giusta temperatura e infine bello. Il resto dovrebbe essere governato dal nostro senso etico e libero da orpelli. Troppo spesso vedo cucine schiave di tecniche industriali e di “additivi”, magiche polverine sconosciute ai nostri padri che regalano nuove consistenze, spingono verso una cucina più bella che buona; o cucine votate unicamente a piatti dagli abbinamenti cromatici bellissimi e faticosissimi nell’impiattamento, degni dei migliori fioristi ma lontani dall’obiettivo primario di chi sta ai fornelli, che spesso richiedono l’impiego di manovalanza ad hoc impegnando stageur, giovani leve piene di entusiasmo ed aspettative che sognano di poter essere loro un giorno a dare l’ultimo tocco al piatto, che troppo spesso escono da queste esperienze avendo imparato soltanto che il nostro è un duro mestiere. Una lezione importante ma che non può essere l’unica.

Io in 35 anni di attività non ho mai inseguito mode e modelli, sono rimasto sempre fedele ai miei principi e a quella che da sempre per me significa “alta qualità” e che si riconduce a pochi principi chiari e ben precisi: l’utilizzo di un’eccellente materia prima, la valorizzazione dei prodotti del territorio, il solido legame con la storia della cucina regionale e nazionale, l’utilizzo di tecniche ed attrezzature moderne al fine di esaltare la materia prima, l’impiego di un ingrediente principale nel piatto e pochi altri con la funzione di esaltarlo, gli abbinamenti frutto della esperienza professionale personale senza mai cercare di replicare i piatti altrui, la giusta quantità delle portate, perché si viene al ristorante per mangiare, non per ammirare i piatti e, non ultimo, un servizio di sala serio, professionale ed elegante. Questa è da sempre la mia visione della ristorazione di alta qualità e, per quanto mi riguarda, con la ripartenza cambieranno certamente i volumi e bisognerà ritrovare equilibrio in tutto, ma di sicuro non cambierà nulla nella qualità e nello spirito della mia cucina.

Dunque, attendiamo con fiducia cosa ci riserverà il futuro, sperando che lo Stato ammortizzi in qualche modo questi cali, consentendoci di arrivare alla vera ripartenza, che secondo me non avverrà prima della prossima primavera. Dal canto mio, sono orgoglioso di aver passato la maggior parte della mia vita in una cucina, mettendoci sempre la faccia, portando sempre avanti le mie idee, a dispetto di tante mode, e rispettando tutti i collaboratori perché non dimentico mai che il nostro è un gioco di squadra.

Passerà dunque, speriamo presto. Inizialmente è indubbio che conteremo i danni, ma dopo, poiché siamo un settore composto da grandi lavoratori dallo spiccato spirito creativo, riparametreremo tutto e ripartiremo, cercando di lavorare tutti senza lasciare indietro nessuno. E poi torneremo a sorridere, quando riempiremo nuovamente la sala e vedremo i nostri clienti apprezzare i nostri piatti. E a fine servizio sarà bellissimo finalmente tornare a fare il giro dei tavoli a coronamento di un’altra giornata al Don Camillo. Ho sempre pensato, infatti, che il riconoscimento lo ottieni se riempi il ristorante, se il piatto rientra vuoto in cucina e se il cliente torna. Non ho mai dato peso ad altre alchimie che certamente esistono, ma che, sono fermamente convinto, portano a glorie effimere e di breve durata. Io preferisco guardare la gente in faccia, e la prima faccia che guardo al mattino è la mia.”

*chef e patron del ristorante Don Camillo, Siracusa