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L'intervento

Ma i concorsi enologici servono a qualcosa?

28 Maggio 2018
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di Daniele Cernilli, Doctor Wine

La mia personalissima risposta è che sì, i concorsi enologici nella maggior parte dei casi, e se organizzati in modo professionale, possono essere molto utili. Poi partecipo materialmente ad alcuni di essi e posso testimoniarlo direttamente.

Nella fattispecie ho fatto parte per l’ottavo anno di seguito del Decanter World Wine Award (Dwwa) a Londra, dove dal 30 aprile al 4 maggio ho potuto assaggiare più di trecento campioni di vini italiani, in commissione con alcuni fra i migliori degustatori italiani e inglesi, come Richard Baudains, Jane Hunt, Michael Garner, Alessandro Torcoli, Alessandra Piubello, e con vere icone del giornalismo enologico britannico come Andrew Jefford e Steven Spurrier a supervisionare il tutto. I risultati, i premi assegnati, inoltre, hanno un ottimo impatto sul pubblico degli appassionati, che in Gran Bretagna è molto attento a certe cose, ritenendo, a ragione, che sia il frutto autentico dei giudizi di persone esperte, senza dietrologie di sorta. Poi mi è capitato di fare il presidente di giuria nella commissione del premio di Vitigno Italia, a Napoli e all’inizio di luglio sarò con Luca Gardini agli assaggi del Biwa (Best Italian Wine Award). Egoisticamente ho la possibilità di fare molti assaggi “alla cieca”, organizzati da strutture terze, e di confrontare i miei giudizi con quelli di persone competenti, senza richiedere personalmente campioni ai produttori, cosa che ritengo molto positiva e rispettosa nei loro confronti.

Ogni tanto vengo a sapere di richieste di vere forniture di bottiglie (anche più di sei per etichetta) “per assaggi” da parte di qualcuno, blogger, guidaiolo, giornalista di settore, e trovo che siano, a dirla con delicatezza, delle cadute di stile poco o per nulla condivisibili. Non voglio neanche immaginare che fine facciano i campioni non utilizzati per le degustazioni. Anche noi talvolta richiediamo campioni o accettiamo che ce ne mandino, mai più di una sola bottiglia per tipologia e mai più di tre o quattro vini al massimo, però, e solo se proprio non possiamo farne a meno. Per il resto assaggiamo proprio nell’ambito di concorsi come quelli che ho citato o in manifestazioni organizzate da consorzi o nelle fiere come il Vinitaly. Quindi che il sottoscritto faccia parte di alcune commissioni, o che, ad esempio, Fabio Casamassima, nostro collaboratore, sia andato come giudice in Cina al Concours Mondial de Bruxelles, è cosa utilissima e anche prestigiosa.

Detto questo è chiaro che tutti i giudizi sono tendenziali e mai assoluti, che ci siano molti punti di vista e anche molti stili di assaggio. Ma tra persone preparate e competenti, come diceva Paolo Conte, eventualmente “si sbaglia da professionisti” e devo dire che non mi è mai capitato di avere pareri molto distanti dagli altri membri della commissione, in nessuno di quei concorsi. In più è molto difficile che i grandi nomi della vitienologia italiana e mondiale accettino di mettersi in discussione in manifestazioni del genere, che sono più adatte a chi voglia farsi conoscere meglio, a produttori non troppo conosciuti, perciò, ma che offrono anche un’occasione per far scoprire novità o per valorizzare nuove zone.

A Londra quest’anno i Lugana sono andati molto bene, ad esempio, e se quei vini sono abbastanza conosciuti e “di moda” da noi, all’estero la cosa è molto meno vera. La stessa cosa si potrebbe dire per molte zone del Sud, con vini che progrediscono qualitativamente anno dopo anno. Sono tutte considerazioni che mi permetto di fare perché soprattutto in Italia c’è spesso un atteggiamento ambiguo e scettico su manifestazioni di questo genere, che invece, nella maggior parte dei casi, rappresentano un modo piuttosto efficace per attingere a informazioni indipendenti e a pareri espressi da persone esperte, punto e basta.

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