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L'intervento

“Quel che dobbiamo sapere sul Sangiovese”

27 Febbraio 2017
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(Lorenzo Landi)

Un vitigno, la sua storia, le sue peculiarità e le sue potenzialità. Continuiamo la pubblicazione di articoli dedicati ai vitigni d'Italia e raccontati da enologi e/o agronomi di fama. Lorenzo Landi, toscano, ci racconta il Sangiovese.

Qui invece potete leggere il Carricante narrato da Salvo Foti. Altri articoli nei prossimi giorni.

di Lorenzo Landi

L'importanza di questo vitigno antichissimo, che attraversando i secoli ha trovato grande diffusione nei tempi moderni, si può comprendere dalla enorme fioritura di pensiero mitico che ha avvolto nel tempo le origini del Sangiovese e del suo nome (Giusi Mainardi). A mia conoscenza entrambe restano allo stato attuale incerte. Il nome, nelle ipotesi più accreditate, sarebbe forse nato nell'appennino tosco-romagnolo e deriverebbe da Sanguis, sangue, e jugum, giogo, riferendosi ai gioghi collinari. Si parlerebbe dunque di sangue delle colline e dei monti, alludendo evidentemente alla sua particolare diffusione in queste zone. Ma anche Sanguis Jovis, sangue di Giove, è piuttosto gettonato e potrebbe essere collegato, per successive modificazioni, al precedente. Molte altre origini, anche da parole etrusche, sono state proposte, e benchè nessuna di esse, a mia conoscenza, sia dimostrabile, esse testimoniano il mito delle origini del Sangiovese che ha affascinato l'uomo antico e continua a farlo con il moderno, in particolare con i riferimenti al sangue ed al dio Giove, simboli di grande intensità.

Il nome Sangiovese, come lo conosciamo oggi, compare per la prima volta in Romagna, in un atto notarile del 1672 riportato alla luce dallo studioso Lucio Donati e conservato all'Archivio di Stato di Faenza. Tuttavia Gioanvettorio Soderini, gentiluomo fiorentino, nel suo Trattato sulla coltivazione delle viti, ne aveva parlato nel 1590 con il nome di Sangiogheto. Si può definire una sorta di pareggio tra le due regioni (Toscana e Romagna) che si considerano la culla di questo vitigno e nelle quali esso ha avuto la maggiore diffusione ormai da secoli. Al di là del nome, tuttavia, l'origine reale di questo vitigno è sicuramente più antica (probabilmente medioevale o ancora precedente) e difficile da collocare geograficamente. Le ipotesi al momento più accreditate a mia conoscenza sono quella toscana e, strano forse a dirsi, quella siciliana-calabrese. La prima trova alcune conferme nelle parentele tra Sangiovese, Ciliegiolo, Poverina e altri vitigni, mentre quella siciliana-calabrese nella stretta vicinanza con Catarratto, Nerello Mascalese, Frappato di Vittoria, Perricone, Gaglioppo e Greco nero (Di Vecchi Staraz et al). 

E' comunque sicura la stretta parentela tra il Sangiovese ed alcuni dei più importanti vitigni del sud Italia (in alcuni casi, vedi ad esempio Nerello e Gaglioppo, parlerei di parentela non solo genetica ma anche enologica). Dovunque sia localizzata l'origine remota del vitigno, se ne parla molto in Toscana, ed anche in Romagna, a partire dal 1700 e quasi sempre, almeno all'inizio, come di un vitigno sicuro e costante nei risultati. Il già citato Soderini ne parla come di un vitigno “che non fallisce mai” e Cosimo Villifranchi, alla fine del 1700, come di un'uva che “non fallisce quasi mai in nessun anno”. E' cosa forse curiosa pensando che, soprattutto nei recenti anni passati, lo si è sempre definito come capace di dare vini grandi ed eleganti, ma con una certa bizzarria ed incostanza, sicuramente superiore a quella di alcuni vitigni francesi quando coltivati da noi. Forse avevamo semplicemente dimenticato, e adesso stiamo tornando a comprenderlo, che la grandezza, nel vino, non va mai a braccetto con l'assoluta costanza e che occorre sempre rischiare per raggiungerla. 

Comunque, in quel periodo il Sangiovese si diffuse in molte zone con nomi diversi e solo nel 1879 si accertò la corrispondenza tra Sangioveto del Chianti, Prugnolo di Montepulciano e Brunello di Montalcino che in precedenza venivano ritenuti vitigni distinti (anche se già all'inizio dell'ottocento il conte Gallesio ne aveva ipotizzato l'identità). Venendo ai nostri giorni, il Sangiovese è il vitigno più coltivato in Italia e, oltre alle zone classiche della Toscana e della Romagna, è diffuso in altre regioni, soprattutto dell'Italia centrale, Umbria e Marche in testa. Entra, in qualche caso in purezza, in altri e più frequentemente in assemblaggio, nella produzione di numerosi vini, tra cui Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Chianti Classico, Chianti, Morellino di Scansano, Rosso Piceno e tanti altri… 

Essendo un vitigno antico e diffuso in molte zone, ha notevoli diversità al suo interno, che sono state spesso semplificate in due tipologie fondamentali: il Sangiovese grosso, al quale appartengono la maggior parte dei biotipi coltivati, ed il Sangiovese piccolo. Quest'ultimo ha acino e, spesso, grappolo più piccolo, minor vigore, dà origine a mosti più acidi e meno zuccherini ed ha, in alcuni casi, la tendenza a formare, nello stesso grappolo, acini di dimensione molto diversa tra loro. Si potrebbe pensare, nella viticoltura attuale vocata alla qualità più che alla quantità, che il Sangiovese piccolo potesse avere successo ma le altre sue caratteristiche sono inferiori al grosso per cui si è finito per coltivare soprattutto questo.

In realtà le differenze all'interno del vitigno sono ancora più ampie rispetto a quello che si potrebbe pensare e questo, insieme alla grande varietà di ambienti in cui viene coltivato, lo rende ancora più interessante e poliedrico. A questo si deve anche aggiungere il fatto che non sempre lo si utilizza in purezza ma spesso in assemblaggio e questo amplifica ulteriormente le diversità tra i vini. Non si può a questo riguardo tacere il più nobile dei propugnatori del Sangiovese in assemblaggio, quel Bettino Ricasoli che, già Primo Ministro nei primi anni del regno unito, scrisse: “Il vino riceve dal San Gioveto la dose principale del suo profumo (a cui miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l'amabilità che stempera la durezza del primo senza togliergli niente del suo profumo; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a mano per i vini destinati all'invecchiamento, rende il sapore più leggero…”  e propose di usare 7 parti di San Gioveto, 2 di Canaiolo ed 1 di Malvasia. Adesso probaabilmente, e con ragione, siamo più inclini ad usare il Sangiovese in purezza o quasi ma, “come nani sulle spalle del gigante” ci avvaliamo delle esperienze che grandi personaggi come Bettino Ricasoli hanno fatto.

Con il Sangiovese si producono dunque vini anche molto diversi tra loro, freschi e fruttati oppure più impegnativi e vocati al lungo invecchiamento. Le caratteristiche del Sangiovese, sia dal punto di vista viticolo che enologico, sono molto peculiari. Probabilmente non lo si può definire “facile” in vigna: abbastanza vigoroso, tardivo come maturazione, relativamente sensibile ad alcune malattie come la muffa grigia. Quando però lo si riesce a raccogliere giustamente maturo e perfettamente sano nei territori più vocati può dare vini di finezza ed eleganza straordinari. Mai sopra le righe, mai troppo potenti, o molto colorati, sempre mantenendo una freschezza aromatica e gustativa che pochi altri vitigni riescono ad avere nei nostri climi (è capace di mantenere l'acidità e l'equilibrio, il Sangiovese, come pochi altri). Con note aromatiche che vanno dalla celeberrima viola delle zone più fresche ed alte e dei terreni calcarei alla ciliegia, mai troppo matura, delle zone più calde e dei terreni più sabbiosi o molto argillosi. Ed una longevità che può consentirgli di migliorare per molti molti anni, assumendo quella evoluzione riduttiva che diviene mineralità olfattiva che solo i grandi vini hanno. Se consideriamo che la nostra conoscenza del Sangiovese e del suo terroir è, per molti versi, ancora all'inizio, possiamo avere solo un'idea dei grandi vini che il Sangiovese potrà donarci in futuro.