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L'intervento

Tonino Guzzo sfata un mito: “Chi lo ha detto che metodo classico vuol dire qualità?”

24 Febbraio 2020
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(Tonino Guzzo)

Quali sono le potenzialità degli spumanti del Sud Italia? Lo abbiamo chiesto a Tonino Guzzo, l’enologo agrigentino che si è aggiudicato il premio innovativo “Il frutto nel bicchiere” al Festival nazionale SpumantItalia che si è tenuto a Pescara.

L’evento è dedicato agli appassionati di bollicine Made in Italy e ideato da Andrea Zanfi. Dopo l’effetto Prosecco, quasi tutte le cantine del Sud si cimentano con le bollicine, ma il Sud può reggere il confronto con il mondo dello sparkling, italiano ed estero? L’enologo non ha dubbi: “Assolutamente sì. Il luogo comune vuole che al Sud si possano fare vini alti di grado, con bassa acidità, ma non è così. Tutto dipende da dove si coltiva e da come si coltiva. La Sicilia per esempio è un continente e ci sono posti adeguati. Le condizioni ideali sono sempre l’acidità e la ricchezza delle varietà con sfaccettature uniche e versatili. Contano territorio, suoli, vitigni, da coltivare adeguatamente”. Quanto ai metodi, non sembra, che determinino in assoluto la qualità o l’importanza di uno spumante. E Guzzo afferma: “Si possono usare sia il metodo classico che il metodo italiano. La scelta dipende anche dai mercati che si vogliono raggiungere. Se vuoi vini evoluti meglio optare per il metodo classico, se invece vuoi esprimere freschezza, frutto e prontezza di beva meglio quello italiano. Attenzione: il metodo usato non determina la qualità, che è data solo dalla materia prima, dalla vigna. La qualità quindi non è il metodo. C’è confusione. A volte, quasi per partito preso, si pensa che il metodo classico sia la sola via per la qualità. Luogo comune sbagliato”.

Ma quanto conta l’altitudine di un territorio per la coltivazione? “Siamo davanti ad un altro luogo comune – dice Guzzo – Il problema al Sud è un insieme di fattori: il suolo e la disponibilità di acqua, per esempio. L’irrigazione diventa un fattore determinante. Un suolo adatto lo si può trovare anche a livello del mare, così come in alta montagna. In ogni caso servono suoli fertili”. Se è così, in quali territori del vino si può riscoprire il Sud d’Italia come produttore di spumanti? Non tutti si prestano. “In molti territori – prosegue – In Calabria, con il Greco, il Gaglioppo, il Pecorello, per esempio a Cirò Marina, dove i suoli sono fertili e adatti. In Campania sicuramente con Falanghina, Greco e Fiano i suoli si prestano. In Irpinia probabilmente hai più suoli disponibili. In Sicilia, ormai abbiamo spumantizzato tutto. Tra i bianchi, personalmente, ho iniziato con metodo italiano con i vitigni Catarratto e Grillo, ma pure con lo Zibibbo ottieni qualcosa di particolare. Il Carricante lo vedo più indicato al metodo tradizionale perché si esprime meglio con l’evoluzione; da giovane, non ha un’espressione di frutto come altri. Per i rossi, Il Nero d’Avola, spumantizzato in bianco e in rosato e il Nerello Mascalese. Ottimi risultati si ottengono con il Frappato, con il metodo italiano, per l’intensità di frutta rossa, anche se si perde con l’evoluzione. Bisogna sapersi orientare e scegliere il proprio obiettivo in base alle richieste di mercato. Il futuro degli spumanti è l’insieme di frutto e freschezza”.

Guzzo ha le idee chiare, ma non cela le sue preferenze. “Su cento volte che bevo uno spumante, 70 volte preferisco la freschezza e la fragranza, la gioventù – afferma – Anche se puoi anche stappare una bottiglia datata e trovarla interessante. In generale, un’uva deve essere raccolta anticipatamente per la buona acidità e per il basso grado alcolico. Personalmente, nella beva di tutti i giorni andrei sul metodo italiano. Sulla beva particolare opterei per il classico. La qualità vale in entrambe i casi. Le aziende devono però comunicare bene e districare i consumatori nella scelta. Ma nel mondo, il trend è chiaro: si consumano più vini freschi, di 5 anni massimo. Dai 5 anni in poi il consumo è più limitato. L’evoluzione stessa del nostro modo di vivere e di consumare si è evoluta. Quel cerimoniale che sta dietro l’apertura di una vecchia bottiglia, se fatto ogni giorno ti annoia. Bere semplice inoltre non vuol dire bere banale”. E in particolare sui rosati esprime il suo “no” deciso alle macerazioni. “Se parliamo della tipologia rosata e del colore, deve essere tenue, i sapori all’olfatto devono tornare in bocca, per donare piacevolezza e freschezza. I vini rosa oggi sono questi. No a lunghe macerazioni, che trasformano i vini rosa in colori da Cesarasuolo. Lo stile Provenza insomma”. No anche alla malolattica. “Si prediliga l’acidità e non la morbidezza – prosegue – In sintesi, una piacevolezza di consumo per vini da bere entro i tre anni. Nel mercato degli Stati Uniti la tendenza è questa e le varietà come Nero d’avola, Frappato e Nerello Mascelese vinificati in bianco si prestano. Ricordiamoci sempre che la Francia fa strada, prendiamola ad esempio per i rosati e per il modo di fare comunicazione, verso una sola strategia. In Provenza, capita anche di sentire profumi di frutto della passione perché si vinificano in blend uve rosse e bianche. Una pratica che non si applica in Italia, ma che potrebbe essere ripresa”.

Il mercato e i nuovi modelli di consumo, secondo Guzzo, favoriscono il metodo italiano: “Il mercato stesso ti spinge in quella direzione. Non è una preferenza. Esprime meglio i varietali, come Catarratto, Frappato, Grillo. Ha un appeal maggiore verso il consumatore”. E il futuro degli spumanti del Sud sembra, secondo la sua esperienza e il suo parere, destinato alla crescita. Ma ci sono alcuni falsi miti da sfatare. “Ogni azienda che seguo, vede aumentare i numeri di anno in anno – afferma – C’è un’attenzione dall’estero, che prima ci snobbava. Anche se il maggior consumo è regionale, c’è una crescita da parte del mercato estero. Gli importatori sono sempre più attenti, competenti, vanno oltre i luoghi comuni. C’è chi, come lo stesso professor Scienza, dice che gli spumanti italiani vanno bene solo dall’Abruzzo a salire. Per me non è così. E non è più così scontato. Lo abbiamo dimostrato. Il risultato sta nelle bottiglie. Dalla Puglia alla Sicilia, prima regione a muoversi (con il metodo classico Tasca d’Almerita a Regaleali, era il 1987 un Chardonnay/Pinot Nero, poi trasformato in solo Chardonnay, un grande successo) fino alla Campania e alla Calabria. I luoghi comuni sono comodi e difficili da sfatare. Se si considera che dello spumante più importante al mondo si producono 300 milioni di bottiglie, vendute con una media di 20 euro, si può comprendere quanto sia importante comunicare bene l’unicità, il territorio, ai consumatori. L’importanza percepita dello spumante ci condiziona e condiziona il consumatore e il suo consumo. Il consumatore è disposto a pagare per uno Champagne indipendentemente dalla sua qualità, ma ci sono ottimi champagne e champagne mediocri”.

Le prospettive di miglioramento non mancano di certo. “Sicuramente siamo abbastanza giovani nella produzione dello spumante. La spumantistica italiana, nel Sud specialmente, è un fatto recente. Anche se ci lavoro da più di trenta anni ormai – prosegue – L’esperienza aiuta sempre e ci aiuterà per un miglioramento. Per il futuro porteranno sviluppo l’identità che si dà ad un territorio e la coerenza. Occorre andare verso un’unica direzione, sceglierla e perseguirla. Ci sono troppe differenze e polverizzazione nel Sud. Mettiamoci d’accordo; per esempio scegliamo un vitigno o un blend di uve e lavoriamoli tutti in un modo. Diamo un’unica direzione insomma. Servirà a fare arrivare al consumatore chi siamo e chi vogliamo essere”. Quindi il futuro della spumantistica del Sud Italia? “Difficile definire, c’è confusione oggi. Mi auguro che ci si metterà intorno ad un tavolo a ragionare su un progetto comune. In nome della grande piacevolezza. Il futuro potrebbe essere quello di uno spumante bianco o di un blend di Grillo e Catarratto, coltivati nella Val di Mazara, per esempio, utilizzando il metodo italiano”, conclude.