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L'intervista

Shigeru Hayashi: “Ai giapponesi piace il cibo italiano. Ecco come fare affari nel mio Paese”

12 Maggio 2015
Shigeru_Hayashi Shigeru_Hayashi

È stato il responsabile di Eataly Japan per 5 anni. Si è dimesso ma si occuperà ancora di food e wine. “Pasta e pomodoro? Ora non mancano mai nelle nostre tavole”

Ha fatto rumore nell’ambiente la decisione di Shigeru Hayashi di lasciare Eataly Japan, la filiale giapponese della catena di Oscar Farinetti.

Fa rumore, perché Hayashi lascia Eataly dopo cinque lunghissimi anni ed in un momento che non sembrava sfavorevole.

Hayashi è nato a Shizuoka-ken, in Giappone, nel 1954. Dopo essersi laureato in Economia e Commercio presso l’Università statale di Tokyo, viene assunto dall’azienda Suntory Ltd, che lo manda in Italia. Innamoratosi della nostra tradizione vinicola e culinaria, inizierà a pubblicare diverse opere su questo tema, che gli varranno molti riconoscimenti sia italiani che giapponesi. 

Nel 2005 decide di costituire la SoloItalia Co. Ltd (Wine & Food Business Consulting), e diviene delegato della Eataly Japan nel 2010. Fino ad oggi.
 
Signor Hayashi, cosa l'ha spinta a rassegnare le dimissioni”
“Ho fatto il presidente di Eataly Japan per circa 5 anni. Avevo una missione: quella di sviluppare questo format anche nel nostro Paese. Ma credo che abbiamo commesso un gravissimo errore all’inizio. Cioè concepire un negozio troppo grande. Dimensioni che, alla fine, si sono rivelate fatali”.
 
Ci racconti la sua esperienza d Eataly
“Un’esperienza molto interessante. Ho conosciuto Oscar Farinetti che mi ha fatto visitare i suoi negozi di Torino, Roma e New York. Mi è piaciuta subito l’idea di questi negozi così interessanti, ma soprattutto la concezione ed il modo di presentare il cibo italiano. In Giappone, però, è stato strutturato in maniera un po’ diversa, perché non è stato gestito da un italiano vero e proprio e qui il mercato è diverso e difficile reperire le materie tipiche della vostra cucina”:
 
Qual è in Giappone la percezione del cibo italiano?
“I giapponesi amano e capiscono benissimo la qualità del cibo italiano. Perché il prodotto italiano è, in genere, molto fresco e naturale. Due caratteristiche che il popolo giapponese ama. Basti pensare al sushi e sashimi per rendersi conto di quanto il giapponese stia attento alla freschezza di un prodotto. E poi, adesso, il giapponese ama la pasta, magari con il pomodoro e l’olio. La pasta è diventata di uso comune nelle tavole dei giapponesi”.
 
Il popolo giapponese è molto attento sia alla salute che alla qualità del cibo. L'Italia risponde bene a questi canoni?

“Assolutamente sì, perché stiamo sempre attenti al prodotto sano e naturale. Ed un prodotto italiano si presta molto bene. Ma, un problema che è stato evidenziato, è la mancanza di chiarezza sulle etichette dei prodotti. E questo, per un giapponese, non è una buona cosa”.
 
Secondo lei, cosa dovrebbe fare un imprenditore per avvicinarsi al mondo giapponese?
“Intanto conoscere a fondo il mercato giapponese, un mercato molto diverso da quello europeo o americano. Ma, secondo me, bisogna stabilire e prendere contatti direttamente qui in Giapppne. La comunicazione in questo caso è fondamentale. E se manca la comunicazione il business non comincerà nemmeno”.
 
Giappone ed Italia, un connubio che vede felice?
“Certo. Paradossalmente sono due paesi molto simili. Noi siamo un’isola, voi una Penisola, ma tutti e due i paesi sono circondati dal mare. Abbiamo quattro stagioni, i fiumi e le montagne. Anche per questo i sapori dei cibi sono molto simili, la nostra cucina contiene molte verdure ed ortaggi. Anche il modo di cucinare si assomiglia un po’”.
 
Quali sono i suoi progetti adesso?
“Adesso mi sto dedicando alla consulenza dell’azienda “Soloitalia”. Mi occupo di alimentare il flusso del mercato del vino dall’Italia verso il Giappone. Ma non solo. Studio con le aziende giapponesi i prodotti italiani che più si addicono al nostro Paese. Nel tempo libero scrivo libri (tra poco pubblicherà il suo ottavo lavoro sugli scambi culturali fra Italia e Giappone, ndr) ed articoli”.

Giorgio Vaiana