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L'intervista

Antonino Cannavacciuolo: “Non bisogna vivere per le guide. La nostra guida è il cliente”

01 Aprile 2019
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LA FESTA DELLE SOSTE DI ULISSE 2019 – La nostra intervista con lo chef di Villa Crespi: “Se guardo a quello che ero mi vengono i brividi. La mia paura? L'estinzione del mestiere dei contadini”


(Antonino Cannavacciuolo a Siracusa per la festa de Le Soste di Ulisse)

di Fabrizio Carrera e Giorgio Vaiana

Lo sguardo verso Ortigia, il sole che lo abbaglia un po'. Antonino Cannavacciuolo, chef bistellato di Villa Crespi a Orta San Giulio in provincia di Novara, stasera sarà il grande protagonista della cena di gala che chiude l'edizione 2019 della grade festa de Le Soste di Ulisse al Minareto di Siracusa. 

Non solo perché è uno degli chef “televisivi” più apprezzati del panorama nazionale, ma anche perché diventerà ufficialmente ambasciatore dell'associazione guidata da Pino Cuttaia. Incontriamo lo chef nella terrazza dell'albergo. Jeans e giacca, lo chef è uno di poche parole. Ma sono sempre pesate e dosate e danno tantissimi spunti di riflessione. Si parla del suo passato: “Mi chiedete chi era Antonino Cannavacciuolo? Era un ragazzino che aveva voglia di fare questo mestiere e lo dissi a mio padre – racconta lo chef – O faccio lo chef o non faccio altro. Ho cominciato questo mestiere per passione. La stessa che mi fa andare avanti anche adesso”. Passione, sacrifici, testa bassa e lavorare, “perché alla base deve esserci sempre qualcosa che ti piace fare – dice lo chef – Invece oggi vedo troppi giovani che si accontentano del primo mestiere che riescono a beccare. Io sono stato fortunato, perché alla fine ho davvero realizzato il mio sogno”. Lo chef ricorda le sue prime volte ai fornelli, “di quando ero felice a cucinare insieme a mia nonna e mia mamma”. Quelle ricette di una volta, della tradizione, che hanno accompagnato la sua formazione personale e che continuano ad essere presenti anche oggi nella sua vita professionale. Ricorda ancora molto bene il ragù napoletano, la parmigiana di melanzane, la pasta e fagioli, la pepata di cozze o la pizza di spaghetti. Lo chef punta il mare e fa un respiro.

“Non solo la Sicilia, ma la nostra terra fino a Napoli e il Mediterraneo ha nei colori dei suoi ingredienti la forza, penso al rosso del pomodoro, al verde delle erbe, al giallo dei limoni, all'olio, al pesce azzurro – dice lo chef – Quando hai la fortuna di nascere da queste parti, hai un dono: una materia prima fantastica, ma devi anche saperla dosare, ossia la capacità di saper usare questi ingredienti nel migliore dei modi, di creare quell'equilibrio nei piatti perfetto che solo ingredienti che si trovano da noi sanno dare”. Dal 1999 ad oggi Villa Crespi di strada ne ha fatta: “Se mi guardo indietro e penso a quello che ero mi vengono i brividi – dice lo chef – A quei tempi di stellati ce n'erano davvero pochissimi. Oggi sono tanti ed è meglio così. Oggi ci sono tanti “Cannavacciuolo”, anzi pure più bravi di me, abbiamo capito finalmente l'importanza di creare per il cliente una vera esperienza, non solo servirgli qualcosa da mangiare. E mi piace vedere che questa filosofia sia stata compresa dalle nuove generazioni. C'è stata una crescita in generale della cucina italiana e questo è il bello”. Ma la crescita, per Cannavacciuolo, è stata anche per il cliente e non solo per lo chef: “Oggi ti chiedono di poter vedere la carta dei vini, parlano, scelgono un'etichetta, capiscono l'importanza di certe cose – dice lo chef – Proprio il mondo del vino è un mondo complesso, ma che mi affascina tantissimo”.

Cannavacciuolo ha una fortissima predilezione per i prodotti semplici e di stagione, ma attenzione: “Ho una paura – rivela lo chef – che in futuro non avremo più contadini, ci sono sempre più campi abbandonati. Ci salveremo solo se torneremo alla terra”. Impossibile non parlare di Masterchef e degli chef “star televisive”: “Dite che siamo tanti chef in tv – spiega lo chef – ma quanti chef ci sono in Italia? Tantissimi. E in tv? Si contano su due mani. Allora ribalto la cosa: in tv ci sono pochi chef”. Ma Masterchef, però, non vuole far credere che questo lavoro è il più facile del mondo, e lo dice con chiarezza: “Ai concorrenti, insieme a Bruno Barbieri, Giorgio Locatelli e Joe Bastianich e prima con Carlo Cracco lo diciamo sempre: il nostro è un lavoro difficilissimo, si possono trascorrere anche 14 ore ai fornelli e la vita è dura in cucina”. Secondo Cannavacciuolo, però, “si va in tv perché è un mezzo di comunicazione violento e immediato. E allora se si parla della cucina italiana grazie a questo programma, ben venga”. Il ristorante del futuro non lo immagina diverso da quello di oggi, “ma spero sempre che i miei colleghi si riforniscano dai piccoli produttori pagandoli il giusto”, dice lo chef. Ma ha una sua idea per i piatti del futuro, che tendano al “vegetarianesimo”. Il 16 aprile uscirà con il libro “Tutto il sapore che vuoi”, edito da Einaudi in cui presenta 50 ricette vegetariane, “perché ritengo che un grande piatto vegetariano può emozionarti più di uno in cui ci sono carne e pesce”. Al Sud, per Cannavacciuolo ci sono tantissime possibilità, “ma basta volerle”. E sulle guide la pensa così: “Nessuno di noi lavora per essere messo all'interno di una guida – dice lo chef – E lo dico a tutti i miei colleghi: non bisogna vivere per le guide, ma bisogna vivere per il cliente. Sono loro le nostre vere guide. Se loro stanno bene nel nostro locale, magari si confrontano, parlano e poi tornano, abbiamo vinto. La parola del popolo, a volte, vale più di una pagina di una guida specializzata”.