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L'intervista

Lupini: “La cucina del futuro? Più autentica. E ci vogliono meno maestrini in giro”

20 Maggio 2021

di Giorgio Vaiana

Con Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, facciamo un po’ il punto delle ripartenze dei ristoranti.

Direttore, intanto come vede la ristorazione del futuro in Italia?
“Sicuramente ci saranno dei cambiamenti, ma non credo che riguarderanno il miglioramento dell’offerta e l’adeguamento del mercato in evoluzione”.

In che senso?
“Oggi la gente vuole tornare al ristorante, uscire, tornare al bar dopo i mesi in cui si sono vissute tutte le chiusure, ma in questa fase ci possono essere dei rischi”.

Si riferisce al Covid?
“Certo, la ripresa della pandemia ci può stare. Lo abbiamo visto in Inghilterra. Ci sono le varianti, ci sono gli irresponsabili. Ecco il rischio che corre la ristorazione italiana è che non ci si focalizzi su questa possibilità”.

Quindi, lei dice di non dimenticare la questione sicurezza…
“In molti ristoranti, e lo dico per esperienza personale vissuta, ho la sensazione che la questione distanze, i controlli minimali, il registro delle presenze, siano stati un po’ accantonati. O meglio non lo fanno tutti. Ci sono i locali dove lo fanno e altri dove non lo fanno. Ecco secondo me, questa mancanza di attenzione, o per meglio dire, questo disinterese alla sicurezza, offre il fianco al pericolo. Se domani dovesse ripartire la pandemia richiudono tutti i ristoranti. Invece si potrebbe dimostrare, con queste piccole accortezze, che i ristoranti non sono luoghi così pericolosi, come lo sono bus, metropolitane o lo stare in fila in certi ambieti. I ristoratori dovrebbero concentrarsi anche su questa tematica per dare a tutti la sensazione che il ristorante sia un luogo sicuro”.

Ma oltre la sicurezza, c’è qualcos’altro?
“Finita la prima ondata di entusiamo di tutti quelli che vogliono uscire per andare a mangiare fuori, nei consumatori subentrerà un atteggiamento di attenzione. Credo che saranno privilegiati i luoghi dove sarà evidente questa attenzione alla sicurezza. Penso che sarà un discrimine importante nella scelta di un locale, soprattutto quando le cose andranno a regime e sempre sperando che non accada niente. Oggettivamente mi pare difficile immaginare che sia finito tutto. Per questo occorre mantenere alta ancora l’attenzione. Le varianti continuano a saltare fuori e non saremo al sicuro finché gran parte del mondo non sarà vaccinato”.

Alla fine, però, si parlerà di cibo…
“Io lo dico fin dal primo giorno di questa pandemia: alla fine vincerà, nel campo della ristorazione e nella sua gestione, chi riuscirà a proporre piatti assolutamente contemporanei, ma con grande attenzione al territorio. Ecco, che ci sia meno moda e più sostanza”.

Allora la fine di un’epoca per i ristoranti, definiamoli, gourmet?
“No, assolutamente. Molti, ma saranno in minima parte, vorranno ancora essere stupiti stando a tavola. La maggior parte, invece, andrà al ristorante per stare bene e meglio. Penso che questa sia una grande occasione di riscatto per la cucina italiana che può purificarsi di certe contaminazioni, soprattutto negli ultimi anni. Avallate dalla maggior parte delle guide, dai critici e anche da certi giornalisti che hanno fatto di tutto per scovare e comunicare le cose più strane possibili, ma meno italiane di tutte”.

Il suo mi pare un attacco alla guide…
“Alcune Guide, dalla Michelin a L’Espresso, hanno colpito duramente una parte dei ristoranti tipicamente italiani, che io definisco una sorta di tesoro della ristorazione italiana, che ha contribuito a tenere alta la nostra bandiera. Ci sono tanti giovani chef, anche stellati, che forse dovrebbero fare un passettino indietro, puntare sulla tradizione. Che non vuol dire mettere in tavola piatti vecchi, ma contemporanei. E questa è la nostra forza”.

Colpa delle guide, allora?
“Basta guardare cosa hanno fatto nell’ultimo anno e mezzo: hanno solo rimestato acqua nel mortaio. Dal mio punto di vista, non c’è più un valore aggiunto. Ma non parlo di tutte le guide. Ci sono anche manuali interessanti. E per me sono quelle che parlano delle caratteristiche dei ristoranti, senza assegnare stelle o punteggi. Ormai la qualità di certi ristoranti la percepisci comunque. Ci sono, per esempio, dei tre stelle che sarebbero comunque nei primissimi posti di gradimento dei cittadini. Man mano che scendi in questa classifica, ti chiedi, però, perché alcuni ci sono e altri no. Credo che questo sia dovuto alla pigrizia di chi cura queste guide, che non hanno molta voglia di scoprire posti nuovi, autentici”.

Quale la prospettiva della ristorazione italiana?
“Non so dare una risposta. Ma credo che l’affidabilità delle persone, la serietà della gestione di un locale, il servizio che conta sempre di più, ecco sono fattori che porteranno l’attenzione su un ristorante piuttosto che un altro. Insomma conterà di nuovo il passaparola. Sono convinto che torneremo a trasferirci esperienze e non lo faremo di certo attraverso siti come TripAdvisor. Occorrono formule nuove per fare il definitivo salto di qualità. E poi meno maestrini in giro. Perché ce ne sono tantissimi”.

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