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L'intervista

Alberto Mazzoni (Imt): “Longevità e annate. Ecco le sfide per il mondo del Verdicchio”

16 Settembre 2021

di Emanuele Scarci

La sfida del valore del Verdicchio di Matelica non passa solo dal miglioramento della qualità, ma anche dalla costruzione di una identità che va ricercata nella longevità delle annate.

La sfida si gioca sul medio-lungo termine e comprende anche il cambio del nome da “Verdicchio di Matelica Doc” e “Verdicchio di Matelica Docg” a “Matelica Doc Verdicchio” e “Matelica Riserva Docg Verdicchio”, con la parola del vitigno che diventerà facoltativa. In questa complessa partita l’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) gioca un ruolo da regista. Ne parliamo con il direttore Alberto Mazzoni.

Il Verdicchio di Matelica Doc e Docg è un vino pluripremiato, ma il prezzo rimane, per varie ragioni, molto favorevole al consumatore. Che fare?
“Continuare a fare qualità e cercare di mantenere i prezzi in una fascia che garantisca un reddito equo per il produttore”.

Quale il ruolo delle botti di cemento nella ricerca di una maggiore qualità e identità?
“Giocano un ruolo determinante nella produzione di vini di una certa qualità e persistenza: devono lasciare nel consumatore un ricordo preciso”.

Botte di cemento vetrificato?
“Non esageriamo. Il disciplinare prevede solo 12 mesi di invecchiamento, ma potrebbe prevederne 18, 24 e persino 36: la verità è che non possiamo legarci completamente le mani a questi parametri per tanti motivi. Uno di questi è che potrebbe capitare un’annata talmente scarsa da non poterci consentire di operare. Si tenta allora, tramite accordi con le aziende, di portare i mesi a 24. E se si fa massa critica è possibile stoccarli per poi offrirli ai consumatori”.

Quale l’obiettivo?
“Dare un’identità e uno spessore al prodotto perché di vini generici è pieno il mondo. La differenza chi la fa? Il vitigno di quel determinato ecosistema che non può essere delocalizzato. Questo è un obiettivo generale di Imt”.

In Imt si nota una forte regia di sistema che in diversi altri consorzi non si individua.
“Noi rappresentiamo il 98% della produzione, controlliamo la filiera a 360 gradi. Tutti sono soci del consorzio e questo non ha solo la capacità di fare promozione ma è legato alle proposte delle singole aziende”.

Si spieghi meglio.
“Quando siamo nati, nel 1999, eravamo una rarità. Abbiamo ricevuto 3 ricorsi al Tar perché eravamo talmente grossi che pensavano avremmo fagocitato tutti. Abbiamo anche messo una bandierina in Regione, dove tutto ciò che è viticolo, trasformazione, tecnologia e promozione vale 20 punti in più per coloro che presentano istanze in Regione e sono soci del consorzio. Sul progetto complessivo c’è stata una convergenza politica e istituzionale”.

E per quanto vi riguarda?
“Se ci si comporta in modo lineare con tutti e ciascuna azienda corre per il fiato che ha si possono ottenere ottimi risultati. Questo modello ci ha consentito di unire 652 produttori di ogni dimensione di 16 denominazioni. E tenere insieme denominazioni che hanno produzioni varianti da 56 ettolitri a 150 mila. Ciò detto se qualcuno non dovesse sentirsi di continuare a rispettare le regole che ci siamo date è libero di uscire”.