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L'intervista

Bruno Alvisini dalla Sicilia alla Toscana: “La mia sfida nel cuore del Chianti classico”

27 Gennaio 2016
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Da direttore generale di Fazio alla cantina Folonari. “Puntare alla valorizzazione dei vitigni autoctoni”


(Bruno Alvisini)

di Rosa Russo

Dici Toscana e pensi al Chianti Classico, ai “Supertuscan” e a quel tratto di Maremma, da Castagneto e Bolgheri al Tirreno, tanto amato dal Carducci. 

La Toscana è stata una delle regioni chiave per la produzione vitivinicola di qualità italiana conosciuta in tutto il mondo. Qui, con l’arrivo del nuovo anno, lavora Bruno Alvisini, nuovo direttore generale della storica Cantina Folonari che opera nel settore vitivinicolo sin dalla fine del 1700. “Ho colto una bellissima opportunità – racconta Alvisini – che mi è arrivata da una delle famiglie più antiche e blasonate dell’Itala vitivinicola – i Folonari – in una regione, la Toscana, che rappresenta nel mondo l’eccellenza del vino Italiano”.

Una nuova e stimolante sfida tutta da giocare nel cuore del Chianti Classico ma non solo. L’azienda possiede sei Tenute, collocate in punti strategici: Bolgheri, Montalcino, Greve rispettivamente nel Chianti, nella zona di Montelpuciano e in Maremma che hanno fatto della Toscana una delle terre del vino, più appezzate al mondo.

Dal 2010 Lei è stato direttore generale della Cantina Fazio, dove ha avviato una strategia commerciale di grande successo, con un rinnovamento totale del portafoglio vini. Che tipo di esperienza è stata quella presso le Cantine Fazio?
“La mia esperienza in Fazio ebbe inizio in un periodo in cui l’Azienda si trovava in un momento estremamente delicato ed alla vigilia di importanti scelte da compiere. L’obiettivo principale era quello dotare l’Azienda di asset organizzativi e strategici utili ad affrontare le sfide di un mercato complesso e globalizzato alla vigilia, per non dire nel pieno, di una crisi economica che di lì a qualche mese avrebbe fatto sentire i suoi devastanti effetti. Gli ingredienti per far bene c’erano tutti: una famiglia, i Fazio, desiderosa di crescere ed investire, un grande e variegato patrimonio vitivinicolo, un ottimo enologo, Giacomo Ansaldi, profondo conoscitore del Vigneto Sicilia e attivissimo ricercatore nonché autore con Attilio Scienza di numerosi testi di ricerca sulla biodiversità della vite in Sicilia. Sono stati anni straordinari che mi hanno arricchito umanamente e professionalmente. La realtà vede oggi la Fazio presente in almeno trenta mercati in tutto il mondo, molto ben posizionata nel canale Horeca e nella Moderna Distribuzione, dotata di un portafoglio prodotti composto da vini e spumanti espressione di un territorio,quello di Erice, tra i più vocati e famosi al mondo. La Famiglia Fazio, nelle persone di Girolamo e Vincenzo, tiene oggi il timone della Direzione Aziendale nel segno della continuità con quanto realizzato negli anni appena trascorsi”.

Quali vini costituiscono la base del fatturato delle Tenute Folonari e quali sono le potenzialità dei suoi vini?
 “La gamma è estremamente variegata. Nella tenuta di Nozzole, situata nel comune di Greve in Chianti, si produce il Chianti Classico, il Chianti Classico Riserva e Gran Selezione oltre al famoso “Il Pareto” da uve Cabernet Sauvignon in purezza lungamente affinato in legno. Un grande rosso ottimamente valutato dalle più prestigiose guide internazionali. Nella Tenuta del Cabreodi Zano si producono prevalentemente i famosi “Supertuscan” come il “Cabreo” da uve Sangiovese e Cabernet Sauvignon, il Black da uve Pinot nero, il bianco La Pietra, da uve Chardonnay e l’ultimo nato alle Tenute del Cabreo, il Nino, dal nome di Giovanni Folonari, papà del dottor Ambrogio, al quale è stata dedicata questa importante cuvèe di uve sangiovese e colorino. Nella Tenuta Campo al Mare situata nel cuore della Doc Bolgheri, in provincia di Livorno, si producono il rosso Campo al Mare e la Riserva Baia al Vento. Le Tenute La Fuga di Montalcino, Torcalvano di Montepulciano e Porrona in Maremma completano un assetto aziendale che racconta della Toscana del vino racchiusa in un’unica realtà. Si tratta di vini che, in alcuni casi, godono già di una grande reputazione a livello nazionale ed internazionale. Cito espressamente Cabreo e Il Pareto, due Supertuscan da decenni presenti sul mercato e premiati, negli anni, dalle gude di tutto il mondo. Il più alto potenziale di crescita e’ tuttavia rappresentato dalle tenute di Nozzole, Chianti Classico, e di Campo al Mare nella Doc, Bolgheri. Si tratta di vini molto richiesti sui mercati Internazionali e protagonisti di un vero e proprio boom di mercato. Indubbiamente una grande opportunità per gli anni a venire.

Che tipo di strategia intende disegnare per questa storica cantina? Quali sono gli obiettivi che si è prefisso di raggiungere?
“Lo scenario competitivo è piuttosto complesso e caratterizzato dalla simultanea presenza di grandi brand di valore mondiale come Banfi, Antinori, Frescobaldi solo per citarne alcuni, oppure da gruppi emergenti che adottando strategie estremamente aggressive stanno conquistando fasce di mercato sempre più importanti. In questo contesto il nostro obiettivo principale sarà quello di legare i nostri vini al terroir dal quale provengono rafforzandone identità immagine e qualità puntando ad un ampliamento della distribuzione in Italia e su alcuni mercati esteri strategici come Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Giappone”.

Quali sono le caratteristiche del mondo vinicolo toscano, conosciuto in tutto il mondo?
“Le vicende che hanno caratterizzato la storia del vino toscano degli ultimi trent’anni, possono rappresentare elementi di riflessione per lo sviluppo del vino siciliano nei prossimi decenni.Nel periodo che va dalla fine degli anni ’60 a quella degli anni ’80, la Toscana è passata dalla classica immagine del Chianti in Fiasco a quella di una delle Docg italiane più apprezzate al mondo, grazie ad una pattuglia di produttori coraggiosi che hanno adottato strategie di valorizzazione di terroirs, nuovi metodi di gestione del vigneto e di accurata zonazione, di una rigorosa  selezione dei migliori cloni di sangiovese, abbandonando l’antico metodo di produzione del Chianti stabilito dal Barone Ricasoli che prevedeva – nella fase di vinificazione del Chianti – l’utilizzo di uve a bacca bianca come il trebbiano e la malvasia. Nacquero così i due filoni di pensiero che portarono alla nascita dei famosi Supertuscan, il primo, a base di Sangiovese e altre varietà internazionali; il secondo a base di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot. Questi ultimi hanno generato una serie di vini da tavola (non esisteva ancora la doc Bolgheri), che hanno sfidato e spesso superato i grandi rossi francesi. Sostanzialmente la Toscana ha avuto il coraggio di ripartire dal vigneto e dal territorio abbandonando la politica delle quantità ad ogni costo a favore della qualità e della conseguente profittabilità.Il risultato di questa evoluzione vede oggi l’offerta vitivinicola Toscana concentrata su zone altamente vocate, chiaramente identificate dai consumatori di tutto il mondo.Nomi come Bolgheri, Montalcino, Chianti Classico Supertuscan, Nobile di Montepulciano sono ormai dei veri e propri brand del lusso made in Italy”.

Ci sono differenze tra il mondo del vino siciliano e quello toscano?
“La Sicilia naturalmente non è da meno. Negli ultimi vent’anni l’Isola è diventata un brand di elevato prestigio internazionale che evoca territori di straordinaria vocazione vitivinicola ed una forte relazione tra cultura enologica e tradizioni gastronomiche.Il passo da fare ora è quello di puntare decisamente alla valorizzazione di tutti i vitigni autoctoni (nel caso del Nero d’Avola, ad esempio, alcuni coraggiosi produttori stanno ritornando finalmente alla politica dei cru e del territorio) e dei corrispondenti areali di produzione trasformando gli stessi in veri e propri brand Internazionali.Esattamente quello che ha fatto la Toscana, disponendo però di un potenziale vitivinicolo decisamente inferiore a quello siciliano e rappresentato quasi esclusivamente da un unico vitigno come il Sangiovese”.

L’Italia del vino sembra non conoscere crisi. Come si costruisce il paradigma di questo successo? Qual è l’arma vincente su cui dovrebbe puntare una grande azienda vitivinicola?
“In Italia le grandi realtà vitivinicole in grado di competere sui mercati internazionali sono decisamente rare. Si contano veramente sulle dita di una mano. Assisteremo nei prossimi anni ad un consolidamento del mercato e purtroppo ad una selezione “darwiniana” che non risparmierà, purtroppo, il nostro Paese. Il grande nemico del vino si chiama “globalizzazione del gusto”.Pertanto sarà il Sistema Italia (Politica, Istituzioni, Aziende) a dover funzionare. Dovremo far capire al mondo che la forza delle nostre aziende e’ nella qualità del territorio che esse rappresentano e che la grande e diversificata offerta del “Vigneto Italia”, unita alla nostra grande cultura gastronomica, sono la migliore risposta alle produzioni standardizzate di colossi produttivi nostri competitors come Cile, Australia, Cina, Sud Africa”.

Dopo gli studi Universitari lei si è dedicato ai grandi numeri dell’universo del vino, degli spumanti per poi approdare al mondo vinicolo siciliano. Dopo tanti anni di esperienza in questo settore, che tipo di bilancio si sente di fare?
 “Ho la fortuna di svolgere una professione che amo profondamente. Ho conosciuto tante persone dalle quali ho imparato moltissimo a livello umano e professionale ma non c’e’ dubbio che sei anni di vita vissuta in Sicilia rappresenteranno per me una parentesi unica ed irripetibile. Spero che prima o poi in Sicilia si possa costruire una scuola di enologi di fama internazionale. Le istituzioni dovrebbero lavorare anche su questo fronte”.