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L'intervista

Chianti, partenza d’anno con il freno a mano tirato. Busi: “Vero, ma non sono preoccupato”

10 Febbraio 2022

di Emanuele Scarci

Dopo l’accelerazione record del 2021, l’anno nuovo per i vini toscani si è aperto con un’inchiodata degli imbottigliamenti.

Cos’è successo? “Le restrizioni contro la pandemia scattate a dicembre hanno rallentato tutto – osserva Giovanni Busi, presidente del Consorzio vino Chianti – E anche all’estero si è venduto poco. A metà dicembre a New York e a Houston le strade e i ristoranti erano deserti. Mai vista una cosa del genere. E con i ristoranti vuoti, il vino non si vende né si compra. Ma oggi non mi preoccupo più di tanto: gli enti di certificazione segnalano che i campionamenti per ottenere le fascette stanno procedendo spediti. Mi aspetto quindi una ripartenza a breve”.

Le montagne russe
In dettaglio, a gennaio l’inciampo delle principali 14 Dop toscane si misura nel -6% medio, a 21,6 milioni di bottiglie, rilevato dell’Associazione vini toscani. Colpiscono il -38% della Maremma, il -33% del Brunello di Montalcino e il -21% del Chianti. Limita i danni il Chianti Classico con il -4% mentre l’Igt cresce del 9%. Un avvio d’anno da dimenticare dunque che segue un 2021 con un imbottigliato di 282,5 milioni di bottiglie, +10% sul 2020 e +4% sul 2019. E con le tre maggiori denominazioni (Igt Toscana, Chianti e Chianti Classico) che si ritagliavano oltre l’80% della torta. In termini assoluti, nel 2021 il Chianti ha raggiunto 96,3 milioni di bottiglie, +6,5% sul 2019 (il vino più venduto) e il Chianti Classico 37,7 milioni di bottiglie, +11,4%. A molta distanza seguono: Brunello di Montalcino con 11,4 milioni, +41% sul 2019, Bolgheri con 7,2 milioni (-2%) e Maremma con circa 7 milioni (+18%).

Rebus prezzi
Sul fronte prezzi, il vino Chianti sfuso è balzato del 50% da 1 euro/litro di un anno fa a 1,50 di oggi. “La vendemmia scarsa dell’anno scorso e l’impennata della domanda hanno agito sui prezzi – sottolinea Busi – ma i rincari dovuti, in primis, all’impennata dell’energia e, poi, delle materie prime non ci viene riconosciuto. Il Chianti è venduto per il 65% nella grande distribuzione italiana ed estera, ma i retailer mostrano scarsa sensibilità. Le catene commerciali sono disponibili a riconoscere ritocchi del 2-3%. In qualche caso fino al 5% che però è insufficiente a compensare i costi. Diverse aziende non hanno ancora firmato i contratti per il 2022”.