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L'intervista

Claudio Sadler: “Scuole alberghiere? Lo chef vero si forgia a fuoco lento nelle cucine”

07 Luglio 2016
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di Davide Visiello

Claudio Sadler, patron dell’omonimo ristorante milanese decorato con due stelle della guida Michelin, è famoso per il suo dinamismo dentro e fuori dalla cucina: oltre ad essere uno degli chef più noti e creativi d’Italia, è consulente gastronomico per alcune riviste di settore e per diverse aziende, tra cui Autogrill e McDonald’s. 

È stato presidente dei ristoratori milanesi, nel 2002 ha creato “Q.B. centro di cucina enogastronomico” dove organizza corsi per professionisti e appassionati. E poi un servizio di banqueting, un ristorante a Tokyo, un altro a Pechino, due ristoranti all’interno del nuovo polo fieristico a Rho e sette libri di ricette pubblicati. Viste le conquiste, tanto chiaro poi non è se Sadler di fatto sia uno chef diventato bravo imprenditore o un imprenditore nato grande cuoco. Eppure, nonostante rappresenti una vera e propria star del firmamento gastronomico nostrano, chiacchierando con lui, colpisce il suo “non essere personaggio”, la sua massima disponibilità e la sua ben nota concretezza. Concreto, certo, anche quando parla dei requisiti per diventare un bravo cuoco: “È importante conoscere la tecnica, conoscere l’etica del lavoro, frequentare delle cucine dove si possano imparare queste cose. La scuola alberghiera, se si parte da lì, deve dare un’infarinatura o, quantomeno, un’impostazione su come ci si debba comportare nell’ambiente di lavoro della cucina”.

Uno chef dunque si forgia a fuoco lento nelle grandi cucine, ma le scuole dello Stato? Viene fuori lo spirito risolutivo di Sadler: “Si sa benissimo che esistono delle difficoltà oggettive delle scuole alberghiere dal punto di vista economico: il problema in qualche maniera si può superare creando un rapporto diretto tra il mondo del lavoro e il mondo della scuola. Gli stage sono importantissimi e si devono incentivare: è fondamentale dare ai giovani la possibilità di fare più pratica”. Conoscenza della tecnica, etica del lavoro e tanta pratica, si diventa bravi chef e si apre un ristorante, un esercizio commerciale regolamentato dallo Stato. E questo Stato può incoraggiare il giovane chef imprenditore? “È una questione di volontà. La cucina italiana è una “macchina” che può fare tanto in favore dell’economia nazionale. Per questo sostengo che il mondo della ristorazione non debba essere vessato, ma aiutato. Sicuramente si può fare…tutto si può fare”.

È stato il fondatore della Sezione Italia dell’Associazione “Jeunes Restaurateurs d’Europe”, dal 2012 è il presidente dell’associazione “Le Soste” e spiega così l’attività delle due unioni: “Sono due associazioni che hanno impostazioni diverse. La prima rappresenta l’inizio della carriera: si parte da lì quando sei giovane, hai talento da affinare e capacità imprenditoriale da sviluppare. Una volta consolidate le basi, conseguito dei successi, dimostrate le tue abilità, automaticamente diventi un vieux e puoi entrare ne “Le Soste” dove l’organizzazione ha delle sfumature diverse. E comunque il confronto è importante. Tra noi delle Soste e i Jre c’è un bel dialogo finalizzato, tra le altre cose, ad un miglioramento del mondo della ristorazione e al benessere e all’efficienza di entrambe le associazioni”.

L’opinione sull’operato della critica di settore deve fare per forza riferimento al primato di Massimo Bottura nell’ultima classifica stilata dai giudici dei The World's 50 Best Restaurants, solitamente piuttosto avari con i ristoranti italiani: “La vittoria di Massimo, mio amico, grandissimo chef e vicepresidente delle Soste, significa per l’Italia assurgere a un ruolo di primaria importanza nel mondo. È un peccato che nei primi cinquanta ci siano soltanto quattro ristoranti. Sarebbe auspicabile che, anno dopo anno, ce ne fossero sempre un po’ di più. Poi le guide son guide…”.

Già, le guide son guide, allora proviamo a spiegare come Davide Scabin venga contestualmente declassato dalla Michelin e promosso dalla Best50: “Apprezzo Davide come un grande professionista, ma io non sono un giudice, non lavoro per la guida Michelin né per la Fifty Best e quindi non posso giudicare”. Un pizzico di diplomazia non guasta mai, è necessario per avere successo e Sadler è uomo di successo. Da una chiacchierata di pochi minuti è difficile riscontrare i difetti di una persona, ma i pregi dello chef saltano fuori eccome: sagacia, umiltà e realismo, fondamentali per essere vincenti nella vita, umanità e semplicità, optional che non gustano mai. Tutte doti che non possono sfuggire a chi, anche se per la prima volta, parlando con Sadler, lo guarda negli occhi.