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L'intervista

Doc Etna off/1. Mirella Buscemi: “Le mie viti centenarie, l’altra faccia del Vulcano”

11 Gennaio 2023
Mirella Buscemi Mirella Buscemi

di Alessia Zuppelli

In contrada Tartaraci, nel comune di Bronte, al di là di quella mezza luna che idealmente definisce il perimetro della denominazione Etna dove il genius loci, inteso come luogo e identità, si intreccia come quei centenari tralci di vite, con quegli aspetti storici e socio-culturali del territorio etneo, Mirella Buscemi scommette nel recupero di una vigna “fuori”.

Fuori dalla denominazione Etna Doc sì, ma non da quel “Brand” ancora plasmabile nei contenuti e nella forma. Mirella Buscemi, farmacista, inizia parallelamente la sua attività da vignaiola nel 2016 in una vigna storica, appartenuta all’ammiraglio Nelson, per sperimentare altri vitigni e altri volti del vulcano: “La Doc Etna ha un grandissimo valore identitario e rappresenta una ricchezza per tutti, ma anche al di fuori della denominazione esistono delle posizioni di grande valore territoriale e storico; per citarne alcune: i vigneti storici del Barone Spitalieri ad Adrano, la ducea di Nelson, o le vigne a mille metri in contrada Barbabecchi sul versante Nord Est. Queste zone estreme che accolgono alcune tra le vigne più alte d’Europa, ci spingono a sperimentare e possono rappresentare un’altra faccia del vulcano, in alcuni casi anche con la coltivazione di altri vitigni insieme al Nerello o al Carricante, come avviene per il Grenache o per il Grecanico in contrada Tartaraci, vitigni li presenti da secoli. Questa varietà è ricchezza”. Ma cosa significa, nel concreto produrre un vino sull’Etna fuori dalla Doc? “Di fatto è un vino dell’Etna, anche se fuori dalla Doc e di conseguenza non può essere indicato in etichetta. Nelle mie indico il nome della Contrada “Tartaraci” che è anche il nome del vino. Menzionare la vigna nella cornice della Doc Sicilia mi consente di raccontare il vino a partire dal luogo, e dunque dal territorio dell’Etna. Per questo motivo non incontro nessun ostacolo e nessuna difficoltà a presentare il mio vino prodotto in questo vigneto nel versante nord Ovest”.

Il centenario vigneto racchiude ed esprime la tipica biodiversità etnea in un ricco ventaglio che spazia dalle violette alle ginestre, dalle noci alle mandorle, ulivi, finocchietto, e altro ancora. Pluralità che si riflette in ricchezza. Nei circa tre ettari e mezzo di vigna vitata tre diversi “clos” disegnano le variabili di un suolo più o meno compatto dove si alternano sabbie e sassi. Qui alberelli centenari di Carricante, Greacanico, Nerello Mascalese e Grenache convivono fra forti escursioni termiche, un vento molto freddo e umidità praticamente nulla. Un aspetto di non poco conto dal momento che qui si vendemmia fra fine ottobre e inizio novembre, sia i bianchi che i rossi. “Anche in questa zona che per disciplinare non è inclusa nella Doc ci sono alberelli centenari, la presenza dei vitigni considerati autoctoni ed altri che sono sempre stati storicamente presenti. Le condizioni legate al clima conferiscono maggiore acidità al vino, e dunque un’impronta importante in termini di maggiore longevità. La presenza inoltre di Greanche per il rosso e di Grecanico per il bianco delinea un profilo gusto olfattivo diverso”.

Mirella Buscemi punta su un vino che possa essere “fedele traduttore del territorio” attraverso due referenze, un bianco e un rosso. Il primo con una percentuale 60% Carricante e restante Grecanico, il secondo 70% Nerello Mascalese e restante Grenache. Nessuna intenzione di incrementare la piccolissima produzione con uve d’altri e d’altre vigne: “Se acquistassi da altri non sarebbe più il mio vino”. Fedele a ciò che possiede e alla memoria di famiglia. L’asinello in etichetta, infatti, ricorda il lavoro che questo testardo quanto capace animale svolgeva nella vigna dei nonni nel nisseno. 

Assaggiando quattro annate di Tartaraci Rosso, dalla 2016 alla 2020 (esclusa la 2018) si percepisce un progressivo lavoro alla ricerca di pulizia e di una identitaria finezza. Fedeltà, quella della produttrice, che riflette specie nelle ultime due annate particolare freschezza e la sintonia fra la nota più vibrante del mascalese con quella più fruttata della Grenache. La presenza di questo vitigno leviga al sorso l’irrequieto tannino del Nerello, specie nelle sue espressioni più giovani. Un tratto che lo differenzia dai tradizionali Etna Doc. Questo il risultato apportato grazie alla vinificazione in cemento, diversa rispetto a quella in botti grandi di rovere delle annate 2016 e 2017 dove la beva, altrettanto gradevole, risulta leggermente più complessa.

Il bianco, selezionato fra i premiati come vino “imperdibile” nella Guida ai Vini dell’Etna 2023 curata da Cronache di Gusto (qui il link per acquistarla>), esprime perfettamente quella fedele traduzione del territorio della quale Mirella Buscemi va fiera, a buon ragione. Tratti floreali e nuance vegetali del Carricante si arricchiscono di quella leggera aromaticità offerta dal Grecanico. Al naso un vino da profumi d’alta quota, quasi nordico, in bocca dalla trama leggiadra che chiude con note vagamente burrose. Un vino diametralmente opposto se si pensa ai sottili bianchi dell’Ovest o ai ricchi e salini Etna Bianco di Milo. Stoffa elegante per svariate possibilità gastronomiche. Un giovane bianco natio del Vulcano che mostra già in prospettiva una grande personalità, con un suo profilo specifico. Anche fuori Doc.