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L'intervista

Franco Pepe: “Molti pizzaioli indossano la giacca da chef, ma non sono preparati”

07 Marzo 2016
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(Franco Pepe)

Pizza patrimonio Unesco? Forse. Intanto il prodotto italiano più famose del mondo continua indisturbato la sua evoluzione. E così da quegli anni di fine ‘800 in cui il basilico aggiunto alla pizza marinara diede il via alla margherita, oggi si parla di lievitazione, impasti, condimenti.

Franco Pepe è un artigiano moderno con l’antica passione per la pizza. Ha alle spalle tre generazioni di maestri panificatori ma è la sua dedizione all’impasto ad avere reso lui e la sua pizzeria “Pepe in grani” di Caiazzo, nel Casertano, conosciuti nel mondo.                                 Se gli chiedete perché questo delizioso disco di pasta dovrebbe diventare patrimonio dell’umanità, risponde: “In questo momento è un cibo che gode di grande visibilità mediatica, proprio domenica prossima a Milano discuteremo la possibilità che anche la guida Michelin si apra alla pizza. Non credo sia esagerato che entri a far parte del patrimonio dell’Unesco. La candidatura mi sta bene ma dobbiamo fare attenzione ai pizzaioli”.                
                       
Vuol dire che in Italia non ci sono buoni pizzaioli?      
“Mentre gli chef hanno una formazione supportata dagli istituti alberghieri, lo stesso non succede con chi fa la pizza. Ricordo gli anni ’60, quando guardavo mio padre fare le pizza con una semplice maglietta bianca: oggi abbiamo la giacca da chef ma non sempre abbiamo un’adeguata formazione. L’ho già fatto presente al ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, con il quale stiamo portando avanti un protocollo sulla ristorazione del futuro. Non lavoro per una buona pizza ma per una pizza sana e per far ciò io devo dare certezze ai miei clienti. E io da solo, artigiano/pizzaiolo, non potrei farlo, per questo ho creato un team con un agronomo, un nutrizionista. E’ un modo per dare un aspetto scientifico a ogni scelta”.   

Voi illuminati pizza-star siete capaci di piatti d’autore a piccoli prezzi,e avete cambiato l’identità della pizza. Per cominciare occorrono un impasto a regola d’arte e un equilibrio di sapori?                                                                                       
“Certo.Quando da ragazzino imparavo da mio padre a fare la pizza, se venivano i miei amici mi piaceva prepararla per loro e abbondavo negli ingredienti, credendo di fare cosa gradita. Mio padre mi rimproverava: mi diceva che se eccedevo con la mozzarella e non calibravo gli ingredienti non facevo affatto il bene dei miei amici. Un grande insegnamento”.  

Oggi si scelgono farine diverse – avena, farro, segale – o i supercoccolati grani antichi.                                                              
“Sì, noi pizzaioli dobbiamo essere buoni conoscitori di materie prime ma soprattutto dei bravi panificatori. Dopo 15 anni di lavoro, di ricerca e di studi ho la fortuna di avere un mio blend di farine, ho un mulino, garantisco digeribilità, sapore. Il mio è un progetto: qui nel Casertano, in cinque chilometri quadrati di terreno, ho un caseificio, un frantoio dove si trasforma in olio l’oliva caiazzana, campi di pomodoro riccio locale e grano. E nel palazzo settecentesco dove ha sede la pizzeria, ho anche delle camere, perché chi viene qui possa, se vuole, partecipare ai laboratori, gustare il cibo e riposare”.                                                         

A.F.