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L'intervista

Il futuro dell’Etna del vino/24. Ferrini: “Un errore aumentare la produzione di vino”

15 Aprile 2020
Carlo_Ferrini Carlo_Ferrini

di Francesca Landolina

“Sull’Etna qualche errore già si è fatto.

Grossissimi investimenti per impianti nuovi destinati ad un vitigno delicato, come il Nerello Mascalese, che ancora all’estero va compreso, capito, conosciuto. Investimenti che aumenteranno la produzione in termini quantitativi, senza dubbio, e nasce qualche preoccupazione, ma non è tardi per mettere qualche freno e per difendere il territorio”. A parlare è Carlo Ferrini, uno dei più importanti enologi del nostro Paese e consulente di tante aziende sparse per tutto il territorio nazionale. Rapito anche lui dal fascino del Vulcano e dai rossi a base di Nerello Mascalese ha deciso di produrre vini dell’Etna con Alberelli di Giodo, sul versante Nord, a Castiglione di Sicilia, in contrada Rampante nella frazione di Solicchiata. Oggi produce appena 7.000 bottiglie da un vigneto di un ettaro e mezzo tutto ad alberello con piante di circa 80 anni ad un’altitudine di circa 950 metri sul livello del mare. 

Lo abbiamo intervistato per proseguire il nostro ciclo di interviste sul futuro dell’Etna. Ferrini ci parla di un recente passato e di un ritardo sulla difesa del territorio e del paesaggio vitivinicolo etneo. “Per la tutela e per la difesa qualcosa andava fatta prima, perché oggi la quantità di ettari vitati, circa mille, e la conseguente futura crescita delle quantità di vino prodotte, destano dubbi. Quanto si è certi che il mercato sia pronto ad assorbire una quantità di vino triplicata? Dove andrà questo vino? E a quale prezzo? In più bisogna pensare che l’annata 2020 sarà un bagno di sangue. Sono realista, le uve saranno vendute forse ad un costo più basso e ci sarà più vino in magazzino – afferma – L’errore fatto finora è stato quello di non aver mappato, in passato, tutte le vecchie vigne. Bisognava fotografare con dei droni dall’alto l’intero paesaggio etneo, tutta l’area della Doc, a prescindere dalle altitudini. Il vino più importante nasce proprio dalle vecchie viti ad alberello, e bisogna preservarle, valorizzarle più di altre zone”.

Per l’enologo, il successo straordinario dell’Etna del vino, tra la stampa e tra gli addetti ai lavori è un risultato straordinario, arrivato in pochissimo tempo, ma per quanto riguarda il futuro occorrerà interrogarsi sulla crescita delle quantità prodotte e sulle conseguenze che tale crescita potrebbe avere sui prezzi. “Speriamo non si svenda – afferma – Attualmente considero i prezzi bassi. Ed esiste una forbice troppo ampia che passa dagli incomprensibili 5 euro ai 30 euro in media. I prezzi alti sono ancora pochi, più riservati ai vini di nicchia. Ribadisco che la preoccupazione nasce dalla quantità. Ricordiamo umilmente che c’è tanto lavoro da fare. Non è così facile vendere tanto vino prodotto. Il vino dell’Etna è un vino nuovo che indubbiamente non ha una lunga storia alle spalle. All’estero è ancora un vino difficile. Faccio un esempio: in Asia e in Russia comprano Borgogna per la storia centenaria. Ci sono mercati che faticano a memorizzare il nome del vitigno etneo, è più facile conoscere il Pinot chiaramente perché lo sentono nominare da 400 anni. L’Etna del vino si è scoperta improvvisamente e ne è seguito un boom spaventoso grazie al fascino del vulcano. Ma la sua storia è tutta da fare. Allora bisogna restare umili, perché siamo giovani. Pensiamo anche ad altre zone d’Italia, al Veneto, al Friuli, al Chianti, con una storia di 50 anni; anch’essi hanno difficoltà a vendere, ma i vini sono portati avanti da nomi di aziende blasonate”. E aggiunge: “Non è facendo investimenti spaventosi che valorizziamo il territorio, ma lavorando e rispettando il paesaggio, le piccole vigne, con un lavoro di qualità che valorizzi il prodotto. Preferirei una quantità più limitata, poche bottiglie da vedere sopra i 20 euro”.

La valorizzazione per Ferrini passa solo dalla qualità e dalla capacità dei grandi nomi di accendere un faro sul territorio, che scenda a cascata sui piccoli. Dal suo pensiero è evidente che un’ipotesi di allargamento della Doc non sia contemplata. Non esita infatti ad affermare: “Non sono per un allargamento se non verso alcune zone ad alta quota: perché non restaurare vecchi vigneti a 900 o 1.000 metri d’altezza per esempio? Si tratta forse di circa 50 ettari da cui nascono e nascerebbero grandi vini. Ci sono vigneti antichi in zone boscose che potrebbero essere recuperati”. Per il resto auspica dei limiti: “Bisogna verificare la possibilità di bloccare i nuovi impianti, come avviene in altri territori”. E sulla Docg? La risposta è più che concreta: “Per me conta solo fare il vino buono”.

Parliamo infine di promozione. “Penso che ci siano fattori unici da valorizzare e che si promuovono anche da sé. Basti pensare al fascino del vulcano e a quello delle contrade. Ma gli eventi sono importanti. Contrade dell’Etna va benissimo ed è migliorabile. Poi è auspicabile un evento del Consorzio che sia anche itinerante, che faccia il giro del mondo con i grandi nomi”. Ed i piccoli? “Bisogna tornare ad essere umili. Prima l’artiglieria e poi i fanti, tra cui mi colloco anche io con la mia piccola produzione. Altrimenti non si ottiene nulla. Il mondo conosce i grandi nomi non i piccoli”. Ed una battuta sul futuro dell’Etna per concludere? “Futuro positivo indubbiamente. Siamo giovani, manteniamoci più umili ed imponiamoci un progetto di promozione che sia suffragato dalle grandi aziende”.

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