Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

Il futuro dell’Etna del vino/25. Monteleone: “Subito la zonazione, il Consorzio provveda”

24 Maggio 2020
Giulia_Monteleone2 Giulia_Monteleone2

di Francesca Landolina

“In questi anni di poca esperienza da vignaiola sull’Etna, ho imparato tanto. Ho visto piccoli e grandi cambiamenti e crescere la consapevolezza. Risorgono piccole vigne dimenticate e si riscoprono soprattutto in zone remote e impervie dove l’energia da spendere è tanta”.

A parlare è Giulia Monteleone, una giovane produttrice palermitana che arriva sull’Etna solo nel 2017, attratta dal vino, di cui scriveva per alcune testate giornalistiche, e dalla Montagna. “L’Etna è un territorio unico che ha ancora tanto da esprimere. L’attenzione oggi è centrata sul far bene. Temo solo l’improvvisazione. Non mi sarei mai avventurata in questo progetto se non avessi avuto dalla mia parte Benedetto, il mio compagno, enologo. La nostra storia personale è iniziata contemporaneamente a questa avventura. Se ci penso, sembra una follia, ma siamo qui e i nostri vini sono come figli per noi. Con la vigna abbiamo un rapporto quasi genitoriale”. Giulia è entusiasta mentre si racconta. Una sognatrice, come si definisce, e piena di coraggio, al quale non manca quel pizzico di sana follia che rende buone le cose. L’abbiamo intervistata per parlare di Etna nella nostra lunga rassegna di interviste ai produttori.

Facciamo prima un piccolo passo indietro per raccontare l’azienda. Monteleone è oggi un progetto di vita nato nell’estate del 2017 da Giulia, dal padre Enrico e dal compagno enologo Benedetto Alessandro, appartenente a una famiglia di produttori a Camporeale, in provincia di Palermo. Tutto è nato quando i tre si sono imbattuti in una vecchia vigna di appena due ettari a pochi passi dal fiume Alcantara, nelle vicinanze dell’antica Cuba di Santa Domenica. Le vigne dell’azienda si trovano nelle Contrade Palino, Portale e Sciambro, nel territorio di Castigione di Sicilia, sul versante Nord del Vulcano. Ma torniamo a Giulia.

Hai cominciato a fare vino da pochi anni, ma con un buon aiuto. Oggi qual è il tuo timore se si parla di Etna?
“L’Etna sta crescendo e in qualità. Temo solo un po’ l’improvvisazione. Il rischio oggi è che possano esserci realtà che non la esprimano al meglio. Ma c’è energia positiva nell’aria. Durante la vendemmia, faccio un esempio, sembra di stare al centro del mondo. Incontri gente da ogni parte del mondo che conosce bene l’Etna, e non te lo aspetti. Insomma qui ci stai bene, anche grazie a quella ristorazione di nicchia, al contatto con la gente del luogo, sempre accogliente. Noto una grande differenza rispetto ad altre zone vinicole siciliane, perché qui percepisci il legame complessivo con territorio, la gente ti parla di vino, tutto ti parla di vino”.

Trovi riconoscibilità territoriale nei vini?
“Bisogna stare attenti. C’è una matrice comune che è data dal Nerello Mascalese, ma bisogna mantenerla. Bisogna fare un lavoro di zonazione concreto sulle Contrade. Ci può essere quindi un problema di riconoscibilità se manca la capacità di distinguere le peculiarità delle zone da cui hanno origini i vini. Il lavoro di zonazione lo dovrà fare il Consorzio. E bisognerà stare attenti a non snaturare e sapere fare bene. Fare vino è un mestiere. In piccolo, penso che la confusione può scatenare ciò che è accaduto col Nero d’Avola. Non credo che questo possa accedere sull’Etna però bisogna fare attenzione”.

Sei entrata nel mercato con un prezzo di base medio alto. Una scelta coraggiosa…
“Ho fortemente voluto collocarmi su una fascia medio alta. Trovo che sia difficile fare un lavoro al contrario, ovvero partire dal basso per poi scardinare il meccanismo e riposizionarsi su prezzi più alti. Il mio Etna Rosso è venduto al prezzo di 25 euro, certamente alto rispetto alla media. Ma comincio col dire che per me non è un vino base, è un Cru, viene da una singola vigna, fa affinamento in legno, ha un lavoro più lungo alle spalle. E poi la nostra è una produzione artigianale, ne facciamo 4.500 bottiglie. Per me quel vino non è un base. Forse l’errore è stato non dargli un’identità, un nome. Il marchio non è ancora conosciuto e in etichetta trovi scritto solo “Etna Rosso”. Allo scaffale l’anonimato può sfavorire. E all’inizio erano tutti straniti per il prezzo, ma dopo l’assaggio non ho avuto problemi. Ci tenevo a collocare l’azienda in quella fascia. Con l’annata 2018 ho prodotto 11 mila bottiglie. Ma non voglio superare le 20 mila bottiglie in totale. Quindi ci manterremo sempre molto piccoli”.

Hai mai percepito diffidenza nei tuoi confronti per queste scelte da “esordiente”?
“Tante volte, ma lo capisco. La mia è una storia singolare. Ho iniziato scrivendo, senza esperienza nel vino. Credo però, da donna, che la vita ti riservi di tutto. Non voglio gridare ai quattro venti che sto facendo bene, ma so che sono sulla giusta strada. Ci sta la diffidenza iniziale, ma non ne ho fatto mai un dramma. Credo che tra 20 anni sarà diverso, perché di sicuro i fatti parleranno da sé. Sono felice di poter pensare come sarà tra venti anni, perché avevo 26 anni quando ho comprato i vigneti e mi sento libera di immaginare in grande. So di avere tempo e posso creare il mio futuro”.

Ed è stato facile vendere?
“All’inizio è stato difficile. Ho girato personalmente in Sicilia, poi all’estero abbiamo cominciato a lavorare con gli importatori, ma in Sicilia andavo di persona a raccontare il progetto. Fondamentale per farsi conoscere. Io vado in campagna sempre e faccio tutti i lavori. Facciamo tutto da soli e ci teniamo tanto. Mi sono tanto stancata inizialmente, è stato impegnativo. E all’inizio, anche se non me lo dicevano, so che pensavano subito al prezzo alto, percepivo lo scetticismo. Ma, poco a poco, assaggiando e ascoltando la mia storia, hanno apprezzato la nostra passione e la qualità dei vini in primo luogo. L’annata 2017 è già finita. All’estero facciamo il 50 per cento ma potrebbe crescere (Stati Uniti, Svezia, Danimarca, Francia, Germania)”.

Cosa pensi dell’ampliamento della Doc?
“Sarebbe giusto dare dignità alle vigne ad alta quota, fuori la Doc. Ci sono vigne splendide. Il mondo potrebbe assorbire più quantità, ma la vera problematica è la qualità. Se tutti producessero vini grandiosi non sarebbe un problema. Io sarei favorevole ad ampliare la Doc in altezza. Ci sono vigneti storici fuori Doc ed è un’assurdità. Chi ha comprato grandi appezzamenti lo fa perché ha mezzi economici forti e questo può essere comprensibile ma è bello, per me, vedere la riscoperta delle piccole vigne dove un grande non comprerebbe mai. E sai perché? Perché comporta tanti sacrifici, è un dispendio di energia mostruoso. Ma credo che convivere grandi e piccoli è sinergico. I piccoli si prenderanno cura delle piccole vigne, i grandi magari valorizzeranno grandi appezzamenti o zone impervie. La sinergia può funzionare. In definitiva, però, resto dell’idea che un ampliamento può riguardare proprio l’alta quota, le zone dove ci sono già vigneti da recuperare e dai quali nascono grandi vini”

E della Docg?
“Sarebbe bello forse averla, ma non so cosa può portare in più alla denominazione. Forse oggi la Doc Etna è più conosciuta rispetto ad altre Docg, se ci pensiamo. Tutto può servire ma non è basilare. Credo invece che il Consorzio dovrebbe più investire sulla mappatura per conoscere meglio il territorio”.

Come si dovrebbe fare promozione?
Si parlava di un evento istituzionale. Al momento sospeso. Credo che, sviluppato con professionalità da parte del Consorzio, possa dare tanto e dare la parola a grandi e piccoli. Contrade dell’Etna mi piaceva tanto nell’ottica degli anni passati. Ho aderito anche alla nuova edizione, ora sospesa e sono curiosa di scoprire come sarà. Comunque trovo che possa essere un evento parallelo che potrebbe restare in una chiave diversa. Magari i due eventi potrebbero essere ravvicinati nel tempo. Siamo comunque aperti e credo che più si parla del territorio meglio è”.

Come immagini il futuro dell’Etna?
“Secondo me è importante fare squadra. La differenza sta anche nel lavoro del Consorzio. I vini sono migliorati. Da diverso tempo grandi degustatori riconoscono l’unicità del territorio. Le aziende singole possono portare avanti il territorio. E il Consorzio lo potrà fare con un progetto che può guidare come un direttore d’orchestra, dando linee guida e direttive chiare. Se così è, il futuro è positivo. Non vedo grandi problematiche, Se si lavora bene, non si può perdere. Ricordiamoci poi che abbiamo l’Etna, un posto unico, suggestivo, che fa metà del lavoro, da solo”.

LEGGI QUI L’INTERVISTA A CARLO FERRINI

LEGGI QUI L’INTERVISTA A IRENE BADALA’

LEGGI QUI L’INTERVISTA A CAMILLO PRIVITERA 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A SALVATORE GERACI 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A VALERIA AGOSTA 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MARCO DE GRAZIA

LEGGI QUI L’INTERVISTA A SALVATORE MODICA

LEGGI QUI L’INTERVISTA A FEDERICO CURTAZ

LEGGI QUI L’INTERVISTA DI DAVIDE ROSSO

LEGGI QUI L’INTERVISTA DI MASSIMILIANO CALABRETTA 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A GINA RUSSO 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A FEDERICO GRAZIANI

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MARIO PAOLUZI

LEGGI QUI L’INTERVISTA A RORI PARASILITI

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MICHELE SCAMMACCA

LEGGI QUI L’INTERVISTA A FABIO COSTANTINO

LEGGI QUI L’INTERVISTA A CIRO BIONDI

LEGGI QUI L’INTERVISTA A GIUSEPPE MANNINO

LEGGI QUI L’INTERVISTA A FRANCESCO CAMBRIA

LEGGI QUI L’INTERVISTA A FRANK CORNELISSEN 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MARCO NICOLOSI 

LEGGI QUI L’INTERVISTA A GIUSEPPE RUSSO  

LEGGI QUI L’INTERVISTA A MICHELE FARO

LEGGI QUI L’INTERVISTA A PAOLO CACIORGNA