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L'intervista

Karoline Walch: “La nostra azienda di famiglia. E sì, stiamo pensando alle bollicine”

14 Maggio 2020
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di Marco Sciarrini

Parlare della Cantina Elena Walch è come parlare di un territorio, l’Alto Adige, e una storia di successo da molte generazioni.

La sua conduzione familiare è un fiore all’occhiello della produzione vinicola italiana e rinomata anche a livello internazionale. La sua promotrice, Elena Walch, ha contribuito a dare ai vini dell’Alto Adige una grande visibilità grazie alla produzione di qualità che ha indicato la strada anche a tanti altri produttori. Oggi la conduzione aziendale è nelle mani di Julia e Karoline Walch, la quinta generazione della famiglia. Noi approfittiamo di intervistare questa new generation facendo quattro chiacchiere con Karoline.

Quando e come è avvenuto il vostro inserimento in azienda?
“Io e mia sorella Julia entriamo in azienda nel 2013, dopo aver fatto un percorso all’estero una agli antipodi dell’altra, perché mia sorella ha vissuto e studiato master di 2° livello wine management in Francia a Digione, ed io ho fatto la specializzazione wine business in Australia. Così ci siamo trovate nel 2013 a rientrare in Italia, avendo studiato più o meno la stessa cosa, ma con una formazione diversa, che poi abbiamo messo a disposizione dell’Azienda per il suo sviluppo. Mia sorella in particolare studiando in Borgogna ha apportato quella predisposizione francese della ricerca del cru del terroir, tanto che poi nel 2014 siamo riusciti a poter classificare due nostri appezzamenti con una menzione aggiuntiva “Vigna”, una ulteriore menzione geografica riferita ad una denominazione di origine. Dotata di un nome storico oppure un toponimo, ogni vigna deve essere rigorosamente delimitata, autorizzata e registrata in un apposito registro presso l’amministrazione provinciale, garantendo che da anni le uve di questo vigneto vengono rigorosamente vinificate separatamente. Le due Vigne sono i vigneti storici di Kastelaz e Castel Ringberg, entrambi conosciuti per la loro posizione e terreno, e da anni vinificati e commercializzati con la specifica denominazione. Mentre io provenendo dal nuovo mondo ho avuto più contatto con le nuove tecnologie vinicole, piuttosto che al vigneto l’obiettivo era la cantina. Cosi abbiamo realizzato una nuova cantina di fermentazione sotterranea nel 2015 ampliando quella esistente storica, funzionante tutta in gravità e all’avanguardia delle tecnologie attuali come usano tutte le moderne cantine del mondo, per consentire alle uve di raggiungere il massimo livello di qualità. I serbatoi sono piccoli per poter tenere i vigneti separati. In azienda seppur con compiti separati, la programmazione e le decisioni le prendiamo insieme, insomma la gestione dell’azienda è in famiglia”.

In questo periodo di quarantena siete riusciti attraverso i vostri canali informatici ed e-commerce ad arrivare ai vostri clienti?
“Erano molti anni che stavamo pensando di fare un nostro e-commerce, e per effetto di questa quarantena abbiamo accelerato i tempi e da aprile abbiamo anche noi questo canale on line, e devo dire che abbiamo riscosso molto successo, e penso che verrà implementato in futuro”.

Il vostro export dall’inizio dell’anno come è andato?
“I nostri prodotti vengono venduti per la metà all’estero e per la metà in Italia. I primi tre mesi, fino alla fine di Marzo e rispetto allo scorso anno, abbiamo avuto un boom di richieste dall’estero ed in Italia fino a fine febbraio. Se non ci fosse stata questa pausa forzata ora parleremmo di una grande annata. Comunque si comincia a rivedere un po’ di luce in particolare da qualche paese asiatico come il Giappone dove proprio ieri abbiamo avuto un ordine consistente, ma anche dalla Cina, si vede che li si è ricominciato ad avere un pò di normalità. Non vediamo l’ora di lamentarci dal troppo lavoro”.

In che modo l’azienda si sta impegnando per gli effetti dei cambiamenti climatici?
“L’azienda ritiene come propria la filosofia di adottare tutti i principi di sostenibilità, anche in funzione delle generazioni a venire. Si cerca di fare ricerca e sperimentazione in funzione dei cambiamenti climatici, cercando di essere meno invasivi in vigna e in cantina. Nel 2014 abbiamo affittato un vigneto di cinque ettari a lungo termine per portare avanti un progetto di allevamento a mille metri di Pinot grigio, bianco e nero, e quest’anno abbiamo fatto la prima vendemmia, l’esposizione è a sud ed il terreno è particolarmente pendente, un allevamento quasi eroico, ma per via dell’esposizione e del calore che prende riesce a fruttare come se fosse a 800 metri”.

Sempre in riferimento ai cambiamenti climatici e considerato che in Alto Adige molti si stanno orientando nell’allevamento dei vitigni Piwi, voi ci avete pensato o li state già coltivando?
“Sì, da diversi anni abbiamo piantato un vitigno Bronner con la prima annata di vinificazione nel 2014, la produzione è di 5.000 bottiglie. Non necessita di alcun intervento della chimica neanche il rame, ed è una via di mezzo tra l’aromaticità del Muller e la sapidità del Pinot Bianco, un vino fresco fruttato con una bella acidità, fa solo acciaio, un prodotto da bere subito non da invecchiamento, e di pronta beva”.

Cosa pensa delle proposte che stanno arrivando per far fronte a questa crisi, quindi la possibilità di fare distillazione volontaria, vendemmia verde, e stoccaggio privato?
“Queste azioni, in particolare la distillazione sono pensate a chi produce vini non a denominazione, ma dare la facoltà di poterlo fare a loro mi sembra una proposta accettabile, considerando anche il fatto di evitare di mettere sul mercato un surplus di produzione che porterebbe una battaglia di prezzi, e che in ogni caso danneggerebbe anche gli altri. La vendemmia verde noi la pratichiamo già in quanto la nostra filosofia è la ricerca della qualità”.

C’è una proposta dell’Unione Italiana Vini di poter aumentare il plafond della Ocm Promozione per l’internazionalizzazione dei mercati cosa ne pensate, è una misura da incentivare?
“Noi lo facciamo da diversi anni in particolare verso gli Stati Uniti ed è stato un programma sempre interessante e molto apprezzato, e attraverso il quale abbiamo realizzato progetti che altrimenti non avremmo mai potuto fare, e in particolare ora sarebbe molto utile per risollevare il nostro mercato”.

Voi producete molti vini e di qualità, ce ne è uno a cui tenete in particolare?
“Per la verità sono due, lo Chardonnay Cardellino in purezza di cui una piccola parte fa passaggio in legno, ed è stato il primo vino in assoluto che mia madre ha prodotto nel 1988 ed ha i miei stessi anni, lo consideriamo il vino di famiglia che in qualche modo ha scritto la nostra storia. L’altro per noi molto importante è il Gewürztraminer Vigna Kastelaz, che è cosi elegante, fresco, minerale, e di un’aromaticità non troppo invadente”.

C’è un vino che non avete ancora commercializzato e che state per lanciare?
“Sì, è un rosato che si chiama 2026 precedentemente prodotto con un blend di Lagrein, Merlot e Pinot nero in uguale percentuale ed ora abbiamo deciso di cambiare le percentuali, portando il Lagrein al 20% lasciando gli altri due al 40% ciascuno. Il nome è una combinazione un po’ curiosa perché rappresenta 20 come raccolta di grado babbo, e 26 sono i gradi durante la fermentazione. Abbiamo voluto dare una svolta più moderna a questo prodotto, la tradizione Altoatesina prevedeva che il rosato fosse fatto dal solo Lagrein e mia madre a sua volta volle inserire gli altri due vitigni, e già allora era una rivoluzione, noi abbiamo ancor di più voluto avvicinarlo ad uno stile più Provenzale riducendo ancora di più il Lagrein. Un po’ meno colore un pò meno struttura, ma più fine e delicato fresco e fruttato. Dovremmo presentarlo a breve”.

Dal vostro catalogo non può sfuggire all’occhio attento che non ci sono bollicine, avete in mente qualcosa al riguardo e in ogni caso ci sono dei progetti a medio termine?
“La sua domanda coglie nel segno e mi costringe a dare un’anticipazione che nessuno sa e che riguarda un progetto relativo proprio alle bollicine. Non posso sbilanciarmi troppo però mi fa piacere darti solo qualche particolare. Il progetto è di fare una cantina proprio nel cuore del Trento Doc, dove noi abbiamo acquisito un terreno di 12 ettari, e che potrà realizzarsi nel 2022. Il terreno purtroppo era quasi abbandonato e allevato a Chardonnay, posto a 600 m.s.l.m, Lo stiamo ripiantando man mano, affiancando anche l’allevamento a Pinot Nero, per fare in modo di produrre un Trento Doc Riserva. Abbiamo anche deciso per separare le produzioni di vini fermi dalle bollicine, ed i vini che saranno prodotti da questa nuova cantina usciranno sul mercato con un altro nome”.