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L'intervista

Oreggia: sull’olio una nuova consapevolezza. E poi dico Puglia al top e sulle potature…

01 Dicembre 2020

L’ideatore di una delle guide più accreditate del settore, Flos Olei, racconta lo stato dell’arte degli extravergine. “Acquistare oli a basso costo non conviene. Sulla comunicazione il vino è da emulare. E ai produttori dico: “Filtrato o no? Filtrato tutta la vita”.

di Christian Guzzardi

Giornalista e critico enogastronomico. Una vita professionale spesa nella ristorazione di qualità e nel mondo del vino. A metà degli anni ’90 l’incontro con l’olio, la qualifica di assaggiatore, e la realizzazione de “L’extravergine. Guida ai migliori oli del mondo di qualità accertata”, dal 2009 ribattezzata Flos Olei. Con lo sguardo rivolto verso il futuro e con un’attenzione particolare alla tecnologia, Marco Oreggia racconta a Cronache di Gusto una fotografia puntuale del comparto dell’olio in Italia e delle opportunità che attendono i produttori e i consumatori.

Qual è l’attuale panorama del mondo dell’olio in Italia?
“A partire dalla fine degli anni ’90 abbiamo assistito a un nuovo modo di pensare all’olio e di realizzarlo. Si è verificata, infatti, una qualificazione di una categoria d’impresa. L’introduzione di parametri specifici da parte del Coi, il consiglio oleicolo internazionale, insieme a una rinata voglia dei produttori di migliorarsi, ha consentito una grande crescita. Basta pensare che oggi l’Italia è il paese titolare di circa il 50% della biodiversità mondiale e può vantare un importantissimo know-how tecnologico. Ha tuttavia perso la leadership mondiale della produzione, superata dalla Spagna, a causa di un bacino di commercializzazione meno ampio ma soprattutto dell’assenza di una politica di promozione che sta favorendo l’abbandono delle coltivazioni”.

Come è cambiata la consapevolezza e le conoscenza del consumatore nei confronti dell’olio?
“È bene far capire che l’olio non è un prodotto che serve per non far attaccare i prodotti sulla padella. L’olio compartecipa all’aromaticità di un piatto e può esserne l’elemento principe. Anche nei consumatori meno attenti comincia ad esserci voglia di diversificare ma c’è ancora un grande lavoro da fare. E poi bisogna comprendere che se si compra un olio da grande distribuzione a 3 €, si sta acquistando un olio che ha meno di 100 milligrammi per chilo di cariche fenoliche: un prezzo altissimo per un olio svuotato di fattori nutrizionali. Con un olio da 600 milligrammi per chilo di cariche fenoliche, invece, che costa circa 10 €, si acquista un prodotto 20 volte migliore”.

Quali sono le novità dell’edizione 2021 di Flos Olei?
“La guida è un prodotto nato quando non si parlava ancora di olivicoltura. Un libro di geografia olivicola, diventato poi anche un concorso aperto a circa 500 aziende. Quest’anno la guida sarà pubblicata con una predisposizione per la realtà aumentata e darà la possibilità di passare, attraverso una app, dal cartaceo al digitale. Scansionando le cartine si potranno vedere i filmati delle olivicolture mondiali e il lettore potrà fruirne gratuitamente, trovandosi tra le mani una guida che si arricchisce nel corso dell’anno”.

Non soltanto oli del sud, in Italia esiste anche una tradizione di olio del nord. Tra i meriti della guida c’è stato anche quello di aver fatto conoscere queste realtà.
“Sicilia, Puglia, Calabria, Campania e Lazio rappresentano l’85% della produzione nazionale, il nord produce dall’1 al 3%. Le regioni del nord, per via delle gelate degli anni ’50 e ’80, hanno rallentato la loro produzione. Si tratta di percentuali piccole ma non per questo banali. Tra l’altro, nell’ottica di una specializzazione olivicola, le nuove generazioni del nord hanno sviluppato un’identità molto ben definita con una continuità qualitativa importante che contribuisce alla crescita della biodiversità italiana”.

Qual è stata la regione che si è distinta nel 2020 e che lo farà nel prossimo futuro?
“Se dovessi parlare di un fenomeno, e aggiungendo anche “era ora”, secondo me la Puglia. Negli ultimi 20 anni è stata penalizzata da poca cultura da parte degli operatori locali. Mentre prima si pensava a produrre grandi volumi di media qualità. Negli ultimi 5 anni c’è stata una grande rinascita, stimolata forse anche dalla paura per la Xylella. Il fenomeno coratina, per esempio, sta facendo un percorso di grande crescita”.

Cosa può imparare il mondo dell’olio da quello del vino?
“Ciò che si può imparare è la professionalizzazione della comunicazione, intesa come conoscenza della gamma e dei fruttati diversi. Sono anni che queste informazioni circolano, difficilmente oggi un consumatore non conosce l’abc del vino: l’alfabetizzazione è avvenuta”.

A proposito di informazioni di base, è meglio un olio filtrato o non filtrato?
“Filtrato tutta la vita. È l’unica possibilità, è l’ultimo grande passo da compiere. L’olio con mucillagini ed emulsioni di acqua si rovina e scende di categoria. I produttori devono capire che è strutturale investire sul percorso di conservazione delle cariche fenoliche. Ci sono decine di studi che dimostrano che l’olio filtrato è molto più stabile aromaticamente e si conserva meglio”.

A proposito di modelli produttivi, qual è il tipo di potatura migliore? A ombrello, conica…
“L’allevamento, al di là del metodo, è in parte una tradizione culturale locale. Va da sé però che fa un po’ male quando un ulivo viene potato a monocono, nel super intensivo in particolare. Oggi l’idea che sta subentrando tra gli operatori è quella di intendere la potatura in una logica di gestione bi-triennale che consente di stabilizzare i fattori produttivi. Lavorando bene di potatura e di raccolta si può realizzare una profilassi intelligente. Ciò che importa è che si parli finalmente di agricoltura di precisione”.

Ancora una volta la tecnologia sarà fondamentale…
“Da un po’ di tempo seguo delle start-up che hanno ideato dei sensori da installare, attraverso un device, dentro l’oliveto. Questa tecnologia copre fino a 10 ettari e fornisce alert ogni mezzora, cosa che consente di avere un monitoraggio delle condizioni ambientali e microclimatiche continue. Tutto ciò permette risparmi e una sorta di prevenzione e consente di eliminare trattamenti inutili avendo monitoraggi prima inimmaginabili. Per non parlare del fatto che la tecnologia consente di migliorare l’approccio ambientale e la sostenibilità”.