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L'intervista

Paola Fioravanti, presidente Umao: “Abbiamo dimenticato le nostre olive, c’è ancora scarsa conoscenza dell’olio “

21 Dicembre 2012
fioravanti fioravanti

Conosce l’olio extravergine di oliva e lo saprebbe declinare all’infinito in tutte le sue sfumature. Aiuta a diffondere la cultura dell’olio, ad apprezzarne la natura, la qualità e il piacere di gustarlo.

Paola Fioravanti (nella foto), assaggiatrice esperta, laureata in chimica e con diversi incarichi di docenza, di direzione e progettazione in varie strutture legate alla agricoltura, dal 1995 è Presidente dell’Umao, l’Unione Mediterranea Assaggiatori Olio con sede a Roma, associazione che si è costituita in considerazione dell’elevato interesse sorto per l’olio di oliva ed in seguito alle direttive comunitarie recepite dall’Italia. “Invitiamo a consumare l’olio extravergine soprattutto in cucina” commenta Paola Fioravanti “perché l’olio è un alimento che si usa soprattutto a crudo. La cultura del buon olio passa anche da qui”. Negli ultimi dieci anni si è affermato sempre di più l’analisi sensoriale, una disciplina scientifica che consiste nella valutazione delle caratteristiche di un prodotto (di qualsiasi natura esso sia) attraverso gli organi di senso: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto che si comportano come dei veri e propri strumenti di misura. Dal ’91 questa tecnica (riconosciuta dal regolamento comunitario n.2568/91 e successive modifiche) è diventato un parametro delle qualità degli oli vergini di oliva. “L’olio – continua Fioravanti – va assaggiato perché il colore non è indicativo della qualità”. 
    
Quali sono le caratteristiche dell’olio d’oliva siciliano?
“ E’ un olio che si distacca un po’ dalla produzione nazionale. La Sicilia ha cominciato a imbottigliare oli di qualità con la Valle del Belice, poi sono arrivati tutti gli altri. Credo che l’olio siciliano sia stato tra i primi oli a vincere premi nazionali e internazionali. Le caratteristiche dipendono molto dalle cultivar: c’è ad esempio la Nocellara del Belice che porta con sé una forte sensazione di foglia di pomodoro, di erba di campo. L’amaro e il piccante in genere sono ben bilanciati. E’ certamente un olio dai sentori erbacei molto forti: forse proprio per questo è stata molto apprezzata all’inizio. C’è anche la Biancolilla che ha delle caratteristiche più delicate. A volte esce fuori una sensazione di mela, ma anche di erba appena rasata. Sicuramente l’olio siciliano è un grande olio che ha molte DOP, tutti di qualità eccellente ma molto diversi fra loro. La zona del palermitano, quella del catanese e del messinese presentano sicuramente un fruttato più delicato, più leggero”.  

E’ possibile stilare una classifica dei migliori oli extravergine di oliva italiani?
“Non esiste l’olio migliore, esistono tanti oli buoni. Sicuramente un olio extravergine non deve avere difetti  Il fruttato di oliva è sicuramente un elemento essenziale per valutare un olio. A ciò si accompagnano altre sensazioni. Oli che sanno di pomodoro, di erba, di mandorla dolce come quelli liguri. Altri, abbastanza rari, che danno delle sensazioni floreali come la Cellina di Nardò. In Italia ci sono cinquecentrotrentotto tipi di cultivar che vanno dal Piemonte fino ad arrivare alla Sicilia. In questo panorama la cosa veramente importante è che l’olio sia fatto bene: dalle pratiche agronomiche, dalla raccolta alla conservazione”.

Quali sono le difficoltà che incontra il comparto?
“ La prima grande difficoltà sta nella frantumazione delle aziende: alcune sono troppo piccole e  non hanno la capacità fare sistema per potersi affacciare sul mercato internazionale. Poi  c’è una cattiva conoscenza dell’olio e una concorrenza sleale da parte del mercato. I costi dell’olio sono troppo diversi tra loro e questo crea confusione, disorienta il consumatore. Non è vero che l’olio che costa molto sia buono: il prezzo lo fa il mercato. Bisogna anche dire che molti oli extravergine di grandi aziende che nell’etichetta parlano italiano, in realtà sono prodotti da miscele di oli provenienti da altri Paesi europei o extraeuropei. Da questo punto di vista il consumatore non è tutelato. Bisogna imparare a leggere le etichette e ad assaggiare l’olio. L’Italia era la prima produttrice di olio, oggi questa posizione è occupata dalla Spagna. C’è l’oliva egiziana, quella greca e quella spagnola, chissà perché ci dimentichiamo della nostra”.

Come sta cambiando la figura del frantoiano?
“ Il frantoiano oggi deve essere un tecnico. Non può più fare questo mestiere semplicemente perché il nonno gli ha lasciato in eredità un frantoio. Deve studiare, rendersi conto che il mercato richiede un prodotto nuovo e acquisire una mentalità imprenditoriale. Deve poi rendersi conto che l’olio è un prodotto di trasformazione che come tale ha bisogno di macchinari puliti. Anche da parte del consumatore è necessario fare uno sforzo che lo avvicini alla conoscenza dell’olio: in Italia manca ancora una vera cultura dell’olio extravergine di qualità. Le associazioni e i produttori  vanno nelle piazze e cercano di promuovere il vero olio extra vergine di oliva, ma molto spesso i grandi confezionatori rovinano il nostro lavoro presentando in tv un prodotto che non convince fino in fondo. Su questo c’è ancora molto da fare”.

Cosa appare preoccupante?
“Le vicende legate a fenomeni di abbandono o di non raccolta quando i ricavi non bastano a coprire i costi sono alla base della flessione delle produzioni olivicole. La qualità ha un costo, se il consumatore non è disposto a remunerarla gli agricoltori sono spinti ad abbandonare i terreni, perdendo così un patrimonio enorme”. 

Rosa Russo