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L'intervista

Ratti: uno 007 per il Barolo

16 Gennaio 2014
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Presto al lavoro un ispettore per difendere il vino piemontese dalle contraffazioni. Il presidente del consorzio fa anche il punto sulle nuove menzioni geografiche

di Francesca Ciancio

Il 2014 è l’anno delle nuove menzioni geografiche per il Barolo. Il presidente del Consorzo di Tutela Pietro Ratti, fa il punto sui primi anni del suo doppio mandato.

Pietro Ratti mi accoglie un sabato mattina per niente rigido a La Morra, nella bella azienda sotto l’Abbazia dell’Annunziata. La cantina porta il nome del padre Renato, che fu presidente del Consorzio del Barolo e successivamente direttore del Consorzio dell'Asti. A Renato Ratti si devono la stesura dei disciplinari di produzione dei vini albesi ed in modo particolare della docg, la carta delle annate del Barolo, la carta delle sottozone storiche del Barolo e del Barbaresco. Oggi, il figlio Pietro è al secondo mandato da presidente del Consorzio di Tutela di Barolo, Barbaresco Alba Langhe e Roero che, tradotto in cifre, significa una rappresentatività del 70/80 per cento delle aziende del territorio su un totale di 10mila ettari di vigneto che producono 60 milioni di bottiglie. Un incarico accolto nell’anno buio del vino italiano, il 2010, a causa dell’onda lunga della crisi americana che fece scendere il prezzo dello sfuso di nebbiolo sotto i tre euro (oggi siamo intorno ai sette/sette euro e mezzo a litro). Dominava l’assoluta incertezza del futuro. A distanza di poco più di tre anni, il peggio è passato e con Pietro Ratti parliamo del presente e del futuro delle famose denominazioni piemontesi.

Quarto anno di mandato, ne mancano ancora due alla scadenza del secondo. Parliamo di ciò che è stato fatto per iniziare….
“E’ un ruolo che non ho mai preso sotto gamba, tantomeno adesso con il decreto legislativo 61, quello sull’erga omnes, che stabilisce che le decisioni del consorzio ricadono anche sui non associati. Aumentano le responsabilità, ma anche le sfide.

Con l’entrata in vigore della legge quadro 61 quali sono stati i vostri primi passi?
“La legge detta tre le linee guida principali: tutela, salvaguardia e promozione. Per ora abbiamo tralasciato l’ultima, per concentrarci sulle prime due”.

Qualche esempio?
“Abbiamo registrato i marchi Barolo e Barbaresco per cominciare, i cui costi, ricadendo nell’erga omnes, sono a carico di tutti. Si parla di 100 mila euro l’anno. I costi più alti non sono quelli di registrazione ma quelli di monitoraggio e spese legali. Ma qualche soddisfazione è già arrivata. Abbiamo vinto una causa in Brasile contro una ditta che usava la dicitura “Barolo Riserva” per un profumo e abbiamo ricevuto un buon indennizzo. Poi c’è stata la storia dei kit per farsi il vino in casa lanciato dal Canada e venduto su eBay. Anche qui abbiamo ottenuto che il nome Barolo venisse tolto. Ora lo chiamano “Barolla”! Storie simili devono farci capire il valore delle nostre denominazioni. Valore che forse sfugge ancora a noi produttori. Non parliamo solo di vino ma di brand che raccontano tante attività, non solo quelle legate alla produzione. Dobbiamo essere i primi a non usarli in maniera impropria.

In fatto di tutela anche voi, come il consorzio del Prosecco Doc, avrete il vostro 007..
“Sì, dalla prossima primavera, insieme all’ufficio repressione frodi, lavorerà un agente vigilatore sul Barolo, che girerà sul mercato italiano (supermercati, enoteche, bar ristoranti) e come un “poliziotto” segnalerà contraffazioni e somministrazioni scorrette del vino”.

Altro obiettivo raggiunto è quello delle menzioni geografiche aggiuntive…
“Già, dopo 30 anni di dibattimenti siamo finalmente arrivati alla conclusione. La cosa che convince meno è proprio il nome…direi piuttosto brutto! Io userei “cru” come i francesi, ma non credo che loro acconsentirebbero. Ciò che conta però è avere una mappatura ufficiale delle zone. Solo per Barolo se ne contano 170, oltre alle 11 denominazioni comunali. Per fare un esempio, con l’annata 2010 non posso più scrivere sulla mia etichetta Barolo Rocche, ma devo aggiungere sotto la denominazione ufficiale la menzione Rocche dell’Annunziata”.

In che modo saranno utili?
“La cosa più complicata per un consumatore è capire la differenza tra un cru e un nome di fantasia. La mappatura è un primo passo verso questa spiegazione. L’ideale sarebbe l’obbligo di registrazione del marchio da parte di chi fa uso di nomi inventati. Inoltre una mappa del genere offre la possibilità di rivendicare con esattezza le bottiglie che ricadono sotto una menzione. Posso fare ancora di più: aggiungere la parola “vigna” per specificare una particella più circoscritta, sapendo con certezza quante bottiglie potrà produrre”.

Indubbiamente ne guadagna il valore del prodotto, ma come si comunica tutto ciò? “Certo, sarebbe più facile se fosse una classificazione meritocratica, ma così non è. Il lavoro che ci aspetta in questo 2014 è legato soprattutto alla promozione e alla conoscenza delle MGA, renderle “familiari”. A mio avviso, più che di comunicazione, è necessario parlare di formazione. Uno dei progetti sui quali si sta lavorando è la nascita di una scuola del vino che possa spiegare le menzioni insieme alle sue sfaccettature territoriali. Servono “ambasciatori” soprattutto all’estero. Di certo verrà lanciata una app con tutte le cartine legate alle menzion”i.

Estero che per voi va a gonfie vele…
“Fuori confine hanno lavorato bene sempre i singoli. Come consorzio non abbiamo ancora pensato a delle “missioni” istituzionali. Potrebbero essere utili per aprire spazi in mercati nuovi. Esportiamo circa l’80 per cento della nostra produzione che è comunque ferma al momento. Per la prima volta abbiamo bloccato gli impianti con un sistema ragionato: niente stop totale, ma possibilità di nuovi impianti per 10 ettari all’anno a Barolo (3 per il Barbaresco) in base a una graduatoria (età, residenza etc). In questo modo offriamo a chi non ha grandi possibilità economiche di poter realizzare comunque il proprio obiettivo. Penso soprattutto ai figli dei vignaioli della zona che hanno magari 3000 metri di terreno ma non possono acquistare un’azienda. D’altronde questa è la nostra storia. E anche il nostro futuro, dare una mano ai figli di Langa”.