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L'intervista

Severino Garofano racconta la “sua” Puglia: “Finalmente i vini viaggiano in una bottiglia”

12 Ottobre 2015
SeverinoGarofano SeverinoGarofano


(Severino Garofano)

di Annalucia Galeone

Lui si chiama Severino Garofano. È l'enologo irpino considerato il 'padre' di grandi vini come il Patriglione, il Notarpanaro, il Graticciaia, le Braci che hanno segnato una svolta nella storia della viticultura in Puglia e non solo.

Nell’intervista che ci ha concesso, racconta la sua storia, la passione per l’enologia, analizza la situazione attuale.
 
Quando ha scoperto la passione per il vino?
“Il merito dell’amore per il vino spetta a mio nonno che aveva la vigna di un’uva eccezionale per il colore nero-violaceo degli acini e il colore porporino del vino. A me per l’età che avevo doveva essere riservato un vinello o un vino “battezzato”. La fortuna volle che mio nonno mi aiutò a farmi capire il valore del vino puro, schietto, ma quel tanto che bastasse per educarmi a conoscere i valori del vino vero. La vera “passione” maturò con gli anni di frequenza alla Scuola Enologica di Avellino”.
 
Una volta ha detto: “Come nella vita, anche per il vino occorre avere naso”.
“È vero. Ma naso sta per odorato, la capacità di percepire gli aromi e i profumi, e la degustazione del vino esige un continuo rifornimento di informazioni sensoriali. In larga parte è il naso a rifornire quello che serve. Un amico e un nemico è il mio naso. Nonostante gli anni che ha, mi fa vivere ancora momenti di esaltazione quando il calice contiene un vino eccezionale, e scatena una gran tempesta quando arrivo in cucina. Ma avere naso è una espressione di quella capacità di valutare bene tutte le volte quello che accade nelle varie circostanze in cui ci cacciamo”.
 
Ogni enologo ha un suo stile. Il suo qual è?
“Non seguire la moda. Andare controcorrente se necessario. Cercare altre strade per arrivare ad esaltare i valori potenziali di quella varietà. Conoscere bene il mercato, il vino è figlio del commercio. A ben riflettere il naso è la via più breve per arrivare ai sensori ricettivi. Lo stile è l’impronta di ciò che si fa per ottenere la buona strada da seguire, a partire dall’uva sino alla vestizione della bottiglia”.
 
Come è cambiata la Puglia del vino negli ultimi trent’anni?
“Dovremmo almeno anticipare di altri due decenni per avere gli elementi di analisi più appropriati per il raffronto e la valutazione del cambiamento del panorama della Puglia del vino. La prima disciplina delle denominazioni di origine inizia nel 1968 e chiude nel 1989 con 24 denominazioni di origine controllata. In questo arco di tempo avvenne quello che era stato auspicato per migliorare l’immagine della Puglia produttrice di vini adatti al taglio. Finalmente i vini della Puglia viaggiano in una bottiglia vestita elegantemente che, come una donna raffinata, si prepara per una vera festa a tavola, accanto al piatto”.

 
(Uva Negroamaro)

Il modo migliore per comunicare/raccontare la Puglia enoica?
“Il vino in bottiglia è stato determinante per l’emancipazione delle produzioni enologiche della Puglia ed ha creato i presupposti per il progresso della viticoltura con il controllo degli impianti dei vigneti. Il primo vino a Denominazione di Origine Controllata è stato il San Severo e poi Locorotondo e Martina Franca. Dopo pochi anni il Matino e Il Castel Del Monte. Poi Ostuni, Aleatico di Puglia, Primitivo di Manduria, Rosso di Cerignola, Moscato di Trani, Cacc’e e Mmitte di Lucera, Salice Salentino, Squinzano, Copertino, Rosso Barletta, Rosso Canosa, Brindisi, Leverano, Alezio, Gravina, Orta Nova, Gioia del Colle, Nardò e Lizzano.  Questa è la premessa per iniziare il racconto di una Puglia “enoica” che, ovviamente non può essere sintetizzato in poche battute”.
 
Quale raccomandazione si sente di dare ai giovani che per passione decidono di diventare viticoltori?
“Fare impresa oggi nel settore è cosa ancora difficile. Occorrono uve di qualità. L’enologo applica una tecnologia che ha successo se la materia prima ha tutto quello che occorre per quel tipo di vino. Se è bravo ed ha passione può solo evitare che la qualità vada perduta nella prova del tempo, dalla pigiatura al bicchiere”.
 
Quando ha deciso di aprire la sua azienda?
“Per il cammino che avevo fatto, dalla fine degli studi all’emigrazione in Puglia, ero predestinato ad aprire un’officina dove vivere la vita e le esperienze maturate nel corso di più di quattro lustri. Non credo al destino, anche se involontariamente ognuno di noi costruisce qualcosa con il proprio cammino e lo chiama destino. Conoscevo i valori del vino e le produzioni anche di terre molto lontane. Maturarono i sogni, la voglia di rischiare in proprio, nonostante il futuro incerto e la probabilità di un rischio molto grosso. L’occasione si presentò con l’offerta di una struttura che già conoscevo, la quale aveva un valore aggiunto costituito da attrezzature adeguate a produrre vini da bottiglia. A tutto ciò si aggiungeva il vantaggio di poter utilizzare i riferimenti del passato storico che ricordava i Monaci Basiliani, le Cripte ipogee che erano servite ad evitare, a quei tempi, di soccombere ai pirati per avere il raccolto del grano, alle razzie dei Saraceni. Insomma tutto quello che poteva essere collegato al passato ormai lontano ma con testimonianze di enorme interesse culturale”.
 
Il suo vino preferito?
“È un vino rosso purpureo, ricco di sostanza colorante e di tannino, un toccasana capace di rallentare l’invecchiamento precoce. Molti anni fa in America, denigrandolo, lo chiamavano “Coca Cola Italiana”. Ovviamente non dirò il nome”.
 
Come valuta la vendemmia che si è appena conclusa?
“Dovrebbe essere una buona annata. È presto per tirare le somme. Occorre aspettare l’elaborazione dei vari dati per un giudizio sulla quantità. Per la qualità, sono state raccolte uve sane, mature. L’andamento climatico è stato favorevole quasi dappertutto. Si prospetta più di una sorpresa in positivo, con qualche eccezione per alcune varietà di uva che hanno risentito del troppo caldo”.
 
Oggi tutti sanno di vino e di cucina. C'è troppa spettacolarizzazione. Il mondo del vino si è trasformato in un fenomeno da baraccone a volte non supportato da una solida preparazione alla base. Cosa ne pensa?
“Per la cucina non escludo che “i cuochi per caso” sono parecchi e continuerà la proliferazione. Purtroppo il cibo a chilometro zero è poco. Le ricette di cucina crescono ogni giorno e differiscono di poco l’una dall’altra. Gli accorgimenti per esaltare gli odori e il sapore sono tanti e la pubblicità martellante non arretra. L’alimentazione mediterranea o dieta, semplice e salutare, è stata quasi dimenticata. Per il vino sarei più prudente perché la risposta del mondo produttivo ha dimostrato di possedere le conoscenze ed i mezzi per assicurare la crescita qualitativa della produzione”.