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L'intervista

Vizzari: “Tradizione e semplicità nella cucina italiana? Solo per poco. E sulle guide…”

28 Maggio 2021

di Giorgio Vaiana

Enzo Vizzari è da 21 anni il direttore e il curatore de “Le Guide de L’Espresso”.

Grande conoscitore della ristorazione italiana, Vizzari fa il punto sulla situazione italiana a qualche giorno dalle riaperture e verso quel ritorno alla normalità da tutti noi agognato e sperato a lungo.

Intanto direttore, le chiedo se ha avuto modo di andare già a mangiare in qualche ristorante…
“Sì, appena è stato possibile, mi sono precipitato. Ma credo sia stata una voglia comune a tutti, non solo a noi impegnati direttamente o professionalmente con questo mondo. Avevamo bisogno di ritornare in un ristorante, ovviamente compatibilmente con le limitazioni ancora in atto. Ma non vi nascondo che sono stato a mangiare fuori quasi tutti i giorni”.

Come sta la ristorazione italiana?
“Lo choc della pandemia è stato davvero fortissimo e purtroppo tanti, ma tanti, ci hanno lasciato, parlo di locali. E tanti ci lasceranno le penne. Devo dire che quelli che patiscono di più questa crisi, sono i locali di fascia media e di fascia medio-bassa. Bene o male i ristoranti con le spalle più larghe o più affermati reistono e si sono salvati”.

Segno che c’è qualcosa che ancora non va…
“Il problema, e mi dispiace ripeterlo sempre, è che nella ristorazione italiana c’è stato un forte, anzi fortissimo progresso dal punto di vista della qualità dell’offerta, ma non c’è stata, ahimé, una crescita di pari livello dal punto di vista dell’imprenditorialità dei ristoratori. Troppi hanno fatto e fanno ristorazione dimenticando che questa, prima di tutto, è un’impresa che deve far quadrare i conti. E chi lo ha ignorato e non ne ha tenuto conto, spesso è finito male. Ci sono tante strutture fragilissime dal punto di vista economico”.

C’è una sorta di ritorno alla tradizione e alla semplicità nei piatti. Il trionfo delle trattorie… E’ questa la svolta dela ristorazione italiana?
“Non credo. Penso che in questo momento la gente abbia bisogno di cose facili, di ritrovare i gusti conosciuti, di riassaporare quello che è mancato in tutti questi mesi di fermo. Magari la gente preferisce andare sul sicuro piuttosto che sperimentare grandi innovazioni gastronomiche. Ma sarà tutto limitato nel tempo. Non durerà quando ci sarà la ripresa definitiva. In questo momento le persone hanno voglia di stare fuori e di ritrovare quello che hanno lasciato. Ma tutto questo non sarà una svolta”.

Addio per esempio al delivery?
“L’introduzione del delivery è stata determinante per tenere in piedi, almeno in parte, il comparto della ristorazione. Ma è stato un fenomeno determinato da questa particolare contingenza. Sono certo che il delivery continuerà ad esistere anche adesso e dopo, sicuramente lo useremo più che in passato, parlo prima della pandemia. Si tratta pur sempre di una formula interessante. Ma andrà comunque ridimensionato”.

Ha sentito lo sfogo di molti chef e patron di ristoranti che non riescono a trovare personale, sia di sala che di cucina?
“Altroché. Ho segnali precisi di questa spasmodica ricerca senza esito. Non si trovano né giovani di cucina, né giovani per la sala. Non capisco come mai ci sia questa tendenza. Ma è un dato di fatto: i giovani non provano più attrattiva per i mestieri legati al mondo della ristorazione. E’ un discorso che andrebbe approfondito a livello sociologico, ma comunque è una percezione diffusa in tutta italia”.

Torniamo ai ristoranti italiani, ci segnali qualche novità o qulche regione da tenere d’occhio…
“Non è certo questo l’anno dei grandi cambiamenti o delle molte novità. Si consolidano, dal punto di vista dell’offerta, la Lombardia, dove c’è tutto e di tutto e a livelli molto importanti, oltre al Piemonte, una regione decisamente vivace. Credo che sono questi i luoghi più interessanti dal punto di vista delle cucine. Sono piuttosto ferme regioni come la Liguria, in realtà ferma da parecchi anni, la Toscana, la stessa Campania, l’Emilia, in cui è da qualche tempo difficile cogliere qualcosa di nuovo. Novità importanti per la Sicilia, ma per adesso non posso dire altro”.

Magari è di parte direttore, ma le guide continuano ad avere un senso?
“Le guide che già esistono hanno ognuna una propria fisionomia, una propria identità. Io non voglio fare nessun giudizio critico, ma non ritengo che la mia guida sia in qualche modo confrontabile con la Michelin”.

Spieghi meglio…
“Lo dico con il massimo rispetto. La Michelin che ha una clamorosa differenza di diffusione con la nostra, ricordiamocelo, fino a pochi anni fa parlavo solo con segni e simboli. Poi ha iniziato ad inserire dei brevissimi commenti solo per gli stellati. E infine è arrivata adesso con qualche riga di commento. Credo che sia una guida utile per il viaggiatore. La mia guida non è adatta per chi viaggia, ma per il curioso e appassionato di enogastronomia. Le due guide non sono per niente confrontabili. Mi pare evidente che il target sia diverso”.

Ma è finita o no l’epoca delle guide?
“Per niente. Non sono d’accordo con chi afferma che l’epoca delle guide è finita perché sono state soppiantate da altri strumenti. E’ vero che in rete si trovano milioni e milioni di informazioni. Ma ciascuno, interessato ad un argomento, fa una classifica delle proprie fonti che ritiene attendibili per le cose da seguire e i giudizi da ascoltare. La guida ha un suo target e non ci sono ragioni per pensare che queto target tenda a diminuire”.

Come immagina la cucina del futuro?
“Innegabile che ci sia una tendenza sempre più presente a privilegiare gli ingredienti bio e sani. Una tendenza che si afferma sempre di più e che non può essere ignorata dagli addetti ai lavori. Ma questo non vuol dire che ci apetta una cucina banale e semplice. Anzi. Sarà una cucina che terrà conto del fattore salubrità”.

Mi dica tre suoi piatti del cuore…
“La parmigiana di melanzane, i tajarin al tartufo e il foie gras”.

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