Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Birra della settimana

La birra della settimana – Tèra di Podere La Berta

05 Settembre 2021

di Simone Cantoni

Nuova puntata di “Una per tutto, tutto per una”: la rubrica di “incontri ravvicinati” dedicati, ogni volta, a una singola birra, della quale si mettono alla prova le capacità in chiave di abbinamento gastronomico, affiancandola, in tavola, a un “pacchetto” di diversi prodotti alimentari o piatti più o meno complessi.

Nella circostanza, i riflettori si accendono sulla “Tèra”, una delle Iga (Italian Grape Ale) che recano la targa del marchio toscano PLB-Podere La Berta, realtà artigianale insediata a Castelnuovo Berardenga, nel cuore di un Eldorado enologico quale il distretto del Chianti Classico.

Tèra 2019
Generata dall’abbraccio con mosto d’uva (nella fattispecie Sangiovese, “il principe del Chiantishire”), la Tèra è, per definizione di progetto, una “millesimata”; nel senso che avvalendosi, volta per volta, di acini corrispondenti a un determinato raccolto, esce conseguentemente sul mercato in una serie di “edizioni” legate, ciascuna, alla specificità della vendemmia corrispondente: protagonista, nella circostanza, è l’annualità 2019. Il processo di lavorazione muove i passi da una birra-base “costruita” su un mosto di solo malto Pale, su una luppolatura da solo Magnum, su una fermentazione da solo lievito French Saison; fermentazione nel corso della quale si aggiunge l’apporto enologico, nella forma di grappoli diraspapigiati e puliti dalle fecce: in pratica un “mosto fiore” estratto nella fase iniziale della vinificazione in rosso e (prima dell’incontro con l’orzo) abbattuto 48 ore a 5 gradi, in modo da eliminare il grosso dei microorganismi selvatici in scena, tranne i Brettanomyces e (forse) qualche ceppo lattico, potendo così conservare la parte sostanziale dell’acido malico contenuto nelle uve. Il risultato si concretizza in un “calice” di queste caratteristiche: colore ambrato di tendenza granata, aspetto velato, sottile schiuma bianca; profumi articolati di pasta frolla, panificato da lievito madre, frutta (pesca, fragola, amarena) e fiori (sambuco, viola); sorsata dal corpo leggero e dalla bollicina sottile, dotata di già apprezzabile rotondità alcolica ma di un centro corsa acidulo e di un taglio finale secco, contrassegnata da una chiusura in cui si trovano rustiche “sterzate” (sempre sotto controllo, peraltro) di timbro amaricante e, soprattutto, tannico.

Con il capocollo di maiale allo spiedo
Una carne tenera per propria natura; e resa ancor più tale mediante una cottura con “rimontaggi” dei succhi via via colati ma raccolti appunto per bagnarne di nuovo le e polpe suine: tutto sommato una partita alla pari con la struttura della birra. Una carne, dunque, alla fine non priva si succulenza (implicita e indotta): ideale per la tannicità alla quale si è appena fatto cenno. Una carne sapida, sì: ma il giusto; e dotata di un fondo dolce-lipidico; tale insomma da non creare frizioni con l’amaricatura (come detto lieve) della sorsata. Una carne, infine, la cui matrice animale e la cui frazione grassa trovano un bel complemento nel “tridente” acidulo-alcolico-effervescente che la “Tèra” sa brandire con fermezza.

Con il caprino stagionato in grotta
Se il primo confronto va agli atti con esiti più che soddisfacenti, il secondo mantiene l’asticella dei risultati su livelli decisamente significativi. Nella fattispecie funziona efficacemente la sovrapposizione attenuativa tra le acidità espresse dal formaggio (a coagulazione integralmente lattica) e quelle analoghe sfoderate dal bicchiere. Mentre queste ultime provvedono anche a gestire con ordine l’olfattitivà acuta del caprino: frutto di un intreccio tra note animali del latte e fungino-muffite della stagionatura, a carico soprattutto della crosta (edibile, peraltro). Infine, confronto proporzionato sia tra la corporatura del boccone (non più di due i mesi di stagionatura) e quella della IGA; sia tra la capacità di gestione lipidica della birra e la massa grassa (non straripante) opposta, in masticazione, dal suo compagno d’abbinamento.

Con le rane fritte in pastella
Cambia la materia sensoriale “in pista” ma assai poco le regole d’ingaggio con la Italian Grape Ale. Se le carni dell’anfibio hanno consistenza tenera, la IGA le rispetta con la sua corporatura leggera. Se la frittura ha la grassezza dell’olio e l’acidulità della cottura da gestire, la birra risponde a entrambe con l’elegante affilatezza (di matrice essa stessa acidula) sguainata a metà della corsa gustativa; affilatezza che, al contempo, è utile ad addomesticare il sentore animale tipico della rana, passibile di risultare fastidioso, nel caso di eccessiva persistenza al palato. Se, infine, il piatto presenta sapidità spiccata (il che dipende dalla “mano” in cucina), la Tèra replica (o abbiamo visto) con un impianto sostanzialmente morbido: e dunque tale (rivelando amaricature limitate a un’unghia) da non provocare contrasti di sorta.

Podere La Berta
Via del Chianti, 103 – Castelnuovo Berardenga (Siena)
T. 0546 84998
beer@poderelaberta.beer
poderelaberta.beer