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La degustazione

L’importanza del tappo nel vino: come la chiusura influenza la qualità

15 Marzo 2020
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di Federico Latteri

Il tappo è un componente di assoluta importanza in una bottiglia di vino. E’ la barriera che ha la funzione di preservare nel migliore dei modi l’integrità del prodotto.

Il sughero ha rappresentato per anni la chiusura ideale in virtù delle sue proprietà, l’elasticità e il fatto che normalmente non trasmette al vino alcun sapore. Vi sono però diversi problemi legati alla natura di questo materiale. Il più noto è senza dubbio il sentore di tappo dovuto al tricloroanisolo (Tca), ma ci sono anche altre alterazioni che sono particolarmente insidiose perchè molto spesso non vengono percepite come tali, ma si pensa che quello sia il reale gusto del vino. Inoltre, a volte si riscontrano differenze fra diverse bottiglie di uno stesso prodotto, cosa che disaffeziona notevolmente il consumatore. Questi inconvenienti si verificano in percentuali variabili che vengono fortemente minimizzate, anche se non annullate del tutto, nei prodotti di qualità top. Si tratta di tappi che hanno ottime performance, ma che sono anche molto costosi, per cui il loro uso resta limitato ad etichette sicuramente non economiche. Da tempo sono presenti sul mercato soluzioni alternative tra le quali chiusure realizzate con vari materiali, oppure con forma e funzionamento differente come il tappo a vite. Accanto a queste ce ne sono altre fatte di sughero che viene prima sottoposto a trattamenti e poi agglomerato. L’obiettivo è sempre lo stesso: assenza di difetti nel gusto e garanzia di buona conservazione.

Al di là di questo bisogna tener conto che tappi di diverso tipo hanno performance diverse, determinando differenze spesso non trascurabili nei vini imbottigliati. Oggi dovrebbe essere interesse di ogni azienda stabilire qual è il tappo che garantisce assenza di problemi e, nello stesso tempo, prestazioni in grado di valorizzare al meglio il frutto del proprio lavoro. Molti ancora sottovalutano questi aspetti, ma diversi produttori hanno iniziato testare vari tipi di chiusure verificando le differenze che si possono avere su uno stesso vino. Massimiliano Calabretta, viticoltore etneo titolare di una delle cantine storiche del territorio, ha iniziato un interessante percorso di degustazioni con esperti, giornalisti, colleghi produttori, enologi ed altri operatori del settore per cercare di approfondire queste problematiche e, in modo molto pratico, capire quale sia la tipologia di tappi maggiormente performante con i suoi vini. Sino ad oggi sono state fatte diverse sessioni di tasting alle quali abbiamo quasi sempre partecipato. Sono stati scelti due bianchi, il Carricante e la Minnella, entrambi 2018, il Rosato 2018 e il Vigne Vecchie 2010, rosso da Nerello Mascalese che viene immesso in commercio dopo un lunghissimo affinamento. Per quanto riguarda i bianchi e il rosato sono stati fatti assaggi a 3 e a 6 mesi dall’imbottigliamento, tenendo conto che la maggior parte dei consumatori li comincia a bere abbastanza presto, mentre con il rosso si è iniziato da 6 mesi. Massimiliano ha cercato di standardizzare al massimo tutte le condizioni in modo che il tappo potesse essere l’unico elemento discriminante: l’imbottigliamento è stato fatto lo stesso giorno con vino proveniente dalla stessa vasca e poi le bottiglie sono state conservate nelle medesime condizioni l’una accanto all’altra.

(Sessione dedicata alla Minnella e al Rosato)

La prima sessione, svoltasi a fine luglio 2019, ha visto protagonisti la Minnella e il Rosato, entrambi imbottigliati a metà aprile 2019 con 6 differenti Chiusure: sughero monopezzo, due tappi di un polimero ricavato dalla canna da zucchero con due differenti livelli di permeabilità all’ossigeno, un tappo di microagglomerato senza colle e due tappi di microagglomerato con colle di marche diverse. Le bottiglie sono state aperte e degustate alla cieca, senza che nessuno dei partecipanti conoscesse il tipo di tappatura. In questo modo si sono potute raccogliere le impressioni sui vari vini, numerati da 1 a 6, e, solo alla fine, collegare i risultati con la tipologia di tappo utilizzata. E’ stato subito chiaro a tutti quanto il tipo di chiusura possa essere decisivo nel determinare differenze spesso più evidenti di quanto ci si possa aspettare. Sia per la Minnella che per il Rosato il miglior risultato è stato fornito dal tappo in polimero di canna da zucchero a bassa permeabilità all’ossigeno che ha fatto registrare ottime performance al naso, nella fase retrolfattiva e nella percezione dell’acidità. In sintesi, il vino è apparso più intenso, più nitido e più vivo. Le altre chiusure hanno dato risultati variabili, in alcuni casi discreti, ma nel complesso decisamente meno convincenti.

(La sessione del Carricante)

La seconda sessione è stata fatta dopo pochi giorni con il Carricante. Non erano presenti il sughero monopezzo e uno dei due microagglomerati con colle, ma c’era un tappo realizzato in tecnopolimeri con un telaio interno che mancava nella prima sessione. I risultati sono stati in gran parte sovrapponibili ai precedenti con la nuova chiusura tecnica che si è avvicinata molto a quella in polimero di canna da zucchero a bassa permeabilità.

A metà settembre ha avuto luogo la terza sessione con il rosso Vigne Vecchie a 6 mesi dall’imbottigliamento. Qui è stato usato anche un tappo in polimero di canna da zucchero a bassissima permeabilità, soluzione consigliata dall’azienda produttrice per i vini da lungo invecchiamento. La maggior parte dei degustatori ha preferito il tappo in polimero a bassa permeabilità che era quello che manteneva più il frutto, sia al naso che al palato. Alcuni hanno invece apprezzato maggiormente quello a bassissima permeabilità o quello in tecnopolimeri con telaio. Naturalmente, non possiamo stabilire quanto la soggettività nel gusto abbia potuto influenzare il risultato.
Anche Minnella, Rosato e Carricante sono stati degustati dopo 6 mesi. In questo caso, pur avendo un risultato analogo a quello degli altri tasting per quanto riguarda l’ordine delle preferenze, si è evidenziata una maggiore omogeneità con differenze minori tra i campioni. Si continuerà con le degustazioni ad 1 anno e poi con il Vigne Vecchie si andrà avanti ancora per valutare i risultati a lungo termine.

I test effettuati con Massimiliano Calabretta, pur essendo migliorabili riguardo ad alcuni particolari, ci cominciano a fornire importanti risposte, facendoci già capire quella che potrà essere la direzione da seguire. I limiti in questo caso sono rappresentati dall’arco di tempo ancora breve, dal numero di bottiglie per tipologia di chiusura che potrebbe essere più grande, dall’impossibilità di provare l’enorme numero di prodotti presenti sul mercato e dal fatto che non erano presenti campioni tappati con il tappo a corona che richiede una precisa tipologia di bottiglia, né con quello a vite (sempre tra i migliori in altre degustazioni comparative da noi effettuate) per la mancanza sul territorio di uno specifico sistema di imbottigliamento. Nonostante questo, siamo convinti di poter fare alcune considerazioni importanti: appare chiaro il ruolo fondamentale della riduzione del contatto con l’ossigeno nel determinare l’integrità di un vino sia dal punto di vista del corredo aromatico che della freschezza. Le chiusure tecniche con permeabilità più bassa hanno dato prestazioni migliori in tutte le degustazioni e con ogni diversa tipologia di vino. Bisogna anche precisare che ci sono tappi in polimero di canna da zucchero con permeabilità più alta che, a nostro parere, sono indicati per vini specifici, cioè per tutte quelle varietà che tendono alla riduzione o quando si sceglie di avere prodotti più pronti. I risultati del sughero agglomerato, seppure in alcuni casi buoni, nel complesso sono stati decisamente altalenanti.

Il sughero monopezzo è sempre stato poco performante, anche se sono stati usati sempre prodotti economici, in relazione al costo dei vini esaminati. Inoltre, il sughero è un materiale non omogeneo: alcuni studi hanno dimostrato che in tappi dello stesso lotto la quantità di ossigeno che riesce a passare nelle 24 ore può presentare una variabilità notevole, determinando differenze tra una bottiglia e l’altra, cosa che non accade nelle chiusure tecniche che presentano una permeabilità uguale, spesso nota. Non è un caso che aziende prestigiose, votate al territorio e alla qualità, come Arpepe in Valtellina o il Domaine Ponsot in Borgogna, hanno deciso di abbandonare il sughero scegliendo soluzioni alternative più moderne e sicure. Un altro aspetto importante riguarda i costi poiché i tappi tecnici non solo funzionano meglio, ma spesso si acquistano a meno, in particolare alcuni modelli fatti con polimero di canna da zucchero.  Esporre i nostri risultati non ha lo scopo di fornire verità assolute, ma mira a stimolare i produttori e gli altri addetti ai lavori a prendere coscienza del problema e ad affrontarlo in maniera razionale. Anche i consumatori vanno informati bene poiché c’è ancora un atteggiamento di rifiuto nei confronti di alcuni sistemi di chiusura (tappo a vite in testa a tutti). E’ un problema culturale che potrà essere risolto assaggiando i vini con un po’ di attenzione e considerando il semplice fatto che è sempre meglio bere qualcosa di buono.