Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La degustazione

L’Italia del vino degli anni 70 direttamente dalla collezione privata di Luigi Veronelli

28 Ottobre 2014
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Non si finisce mai di essere grati a Luigi Veronelli. Ancora una volta il grande della critica enogastronomica italiana ci insegna e ci lascia spunti di riflessione.

Sebbene professasse che il “vino va bevuto e non conservato”, proprio grazie al suo piglio da storico della materia, alla sua sete di approfondimento, abbiamo potuto fare un viaggio andata e ritorno nell'Italia degli anni '70. Con sei etichette provenienti direttamente dalla sua cantina, o meglio, dal suo archivio personale (un corpus di vini raccolti, ricevuti in regalo, reperiti durante le trasferte, molti di aziende ancora esistenti, alcuni testimonianza di realtà oramai scomparse, tasselli con cui ha costruito la sua attività giornalistica ) al Salone del Gusto è andata in scena una degustazione davvero straordinaria. L' affresco emerso del mondo vitivinicolo di allora ci ha illustrato l'epoca che precede il rinascimento del vino italiano, quando molte denominazioni non erano nemmeno nate, quando produttori pionieri cominciavano ad aprire mercati e a gettare le basi del capitolo contemporaneo. Attraverso il ritratto di quel comparto agricolo in evoluzione a cui dobbiamo il nostro presente abbiamo anche potuto scoprire ulteriori sfaccettature della grandezza di Veronelli, l'uomo curioso, il sensibile ricercatore, l'attento osservatore dei suoi tempi. Dobbiamo questa esperienza al Comitato Decennale Luigi Veronelli.  Il racconto condotto dal presidente, Gian Arturo Rota e da Giancarlo Gariglio, si è protratto per un'ora ricca di emozioni e di ricordi, calice dopo calice una carrellata di diapositive sensoriali celebrativa di un piccolo ma importante spaccato di quel patrimonio umano e viticolo da cui tutto è partito, da cui dipende anche il futuro, di cui andare sempre orgogliosi, prendendo in prestito la lezione di marketing di Carlo Petrini (leggere qui), quando ricordiamo a noi stessi e raccontiamo agli altri il nostro Paese. 


Da sinistra Gian Arturo Rota, Giancarlo Gariglio, Luca Veglio, Pietro Viglino

Capitel San Rocco delle Lucchine 1976 – Azienda Agricola F.lli Tedeschi – La zona è San Pietro in Cariano, in provincia di Verona. Etichettato come vino da tavola. Esemplare della Valpolicella. Blend classico, ovvero, monumento ai vitigni dell'areale Corvina, Corvinone e Rondinella. Un vino decadente ma non nell'accezione negativa, bensì si apprezza la grande evoluzione verso sensazioni terziarie intriganti: tabacco, liquirizia, fichi secchi. Elegante. Sorprende la profondità gustativa. Gentile, non muscolare, dimostra come rispondono al tempo le qualità dei varietali.

Brunello di Montalcino 1972 – Fattoria dei Barbi – Un salto indietro nel tempo nel territorio fiore all'occhiello dell'enologia nazionale e con una firma che ancora oggi è una delle più importanti ambasciatrici. Un passato non tanto remoto, quando ad imbottigliare erano una ventina di produttori e il comparto si presentava sul mercato con 15mila bottiglie. Siamo negli anni in cui il Brunello era principalmente pensato per l'estero. L'annata 75 rientra tra le 5 stelle date dal Consorzio e tra le grandi. Ancora ben presenti le caratteristiche veraci del Sangiovese ed emergono note selvatiche, di cuoio, di tabacco e sottobosco. Nervoso, con acidità tagliente. Pieno e allo stesso tempo leggero. Fresco, complice un clima che allora godeva di lunghe estati fresche e lunghe maturazioni.

Barolo 1971 – Poderi e Cantine Oddero – Siamo al cospetto dell'annata tra le più felici per il Barolo, firmato da una delle icone dell'areale di La Morra. Un incursione nell'epoca in cui montava la polemica barolisti tradizionalisti VS barolisti modernisti e su cui Veronelli scrisse tanto. Ritorna nella memoria una delle sue celebri sentenze: “Il Barolo è Barolo” sottolineando da consumatore che non si potevano cancellare la storia, le origini, ciò che appartiene al passato. Il Nebbiolo qui si mostra con un eleganza notevole e una vivacità supportata da tannini ancora presenti. Il ventaglio aromatico spazia dal cacao alla crema al caramello, dalla propoli alla castagna. A commentarlo sono stati per l'occasione Pietro Viglino, nuova generazione degli Oddero, il figlio di Cristina, da una settimana entrato ufficialmente nella squadra aziendale per seguire il lato commerciale, e l'enologo Luca Veglio.

Chianti Riserva Il Poggio 1970 – Castello di Monsanto – Il vino rappresenta la filosofia visionaria  dei vignaioli di allora che cominciava a tracciare la strada alla storia enologica di adesso. Fabrizio Bianchi è tra quei produttori che hanno anticipato i tempi. In quegli anni capì il valore e la grande potenzialità del territorio. Già allora imbottigliava 30 mila bottiglie. Non c'è certezza sull'assenza del Trebbiano in questa ricetta. Naso sfaccettato, con note predominanti di cacao e spezie. Frutto ancora trascinante in bocca. Dotato di buona concentrazione. Ricco. 

Oltrepò Pavese Riserva 1970  – Azienda Agricola Orlandi. Tra i pochi viticoltori originari della zona. Siamo nella terra a cui ingiustamente non è stata riconosciuta la stessa gloria data agli altri grandi territori del nord Italia., in quel lembo settentrionale vissuto invece da vignaioli che avevano compreso che si potevano ottenere grandi vini e questo degustato ne è la dimostrazione. Letteralmente ci ha lasciato senza parole. Il colore ancora rosso granato. Frutti rossi ancora presenti in un sottofondo di terra, tabacco e ferro. Grande nerbo acido, una Barbera vibrante. Sapido. Lascia sorprendenti note aromatiche di melograno. 

Cabernet Trentino San Leonardo 1978 – Marchesi Guerrieri Gonzaga – Un San Leonardo diverso da quello che assaggiamo oggi. Frutto di una prova di vinificazione di Cabernet Sauvignon e una delle prime uscite. Allora l'azienda stava sperimentando le potenzialità degli alloctoni, tra cui Merlot e anche Cabernet Franc e le parcelle che potessero dare la risposta migliore. In quegli anni è racchiuso anche il rapporto stretto tra il Marchese Guerrieri Gonzaga e il Marchese Incisa della Rocchetta. Il vino dimostra tutta l'integrità varietale. Le note caratteristiche del peperone verde ed erbacee sono ben presenti. Grande franchezza. Giovanissimo nonostante l'età. Pieno. Potenza alcolica ma ben integrata. Un superbo Cabernet!
 

Manuela Laiacona