Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
La degustazione

Calvarino Pieropan annata 1986, la prova del tempo per comprendere il vino di territorio

05 Febbraio 2013
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Il suo nome fa parte della storia delle colline di Soave.

Di quella scritta dalle antiche generazioni di contadini e che oggi vede in campo coloro che vogliono difendersi dalle logiche di mercato e dalle decisioni legislative prese da troppo lontano, per preservare il ruolo del vignaiolo e il suo contributo all’autenticità del territorio.

Leonildo Pieropan un pezzo di questa storia ce l’ha fatta assaporare. Siamo andati a trovarlo nella sua fruttaia, cuore della cantina nel centro di Soave, dove custodisce i grappoli di Garganega destinati ad appassire. Una scenografia fatta di penombra e corridoi di graticci di 150 anni, preludio a quello che diventerà il Recioto di famiglia e testimonianza di una identità che Pieropan porta sulle spalle con umiltà e grande vocazione al lavoro. Mostra il calore ossequioso del padrone di casa, non invadente e dimesso, più che per tempra nordica per mitezza di carattere. Come la buona regola dell’accoglienza detta, fa accomodare l’ospite nell’area migliore della “casa”. Non è la barriccaia ma la terrazza, a cui si accede inoltrandosi tra i “legnosi filari” dove riposa l’uva in appassimento. Lì fa mostra del suo tesoro, è il luogo della sue origini e dei suoi vini: il territorio del Soave.


Graticci


Vista dalla terrazza

Si abbraccia con uno sguardo. Basta un solo colpo di vista per cogliere la bellezza dell’anfiteatro naturale, dove nasce uno dei bianchi da suoli vulcanici più rappresentativi. Sceglie questa scenografia per meglio raccontare il proprio modo di fare vino e la presa di posizione nei confronti del mondo produttivo. Spieghiamo che Leonildo Pieropan non ha mai voluto entrare a far parte del Consorzio del Soave, sin dal suo anno di costituzione, anche se da ora in poi dovrà contribuirvi con l’erga omnes, e che si trova a condividere i principi a cui si ispirano tantissimi vignaioli d'Italia e di tutta Europa riuniti nel Movimento Vignaioli Indipendenti (Pieropan è il rappresentante di quelli del Veneto).


Leonildo Pieropan

Ci mostra il paesaggio perché le ragioni della sua scelta di produzione stanno, appunto, nella conformazione del territorio, dal punto di vista del suolo e della trama vitata che ha assunto nei secoli. Non ci sta ad un’ibridazione della tradizione legata a questo vino, spiega mentre guarda lo scenario, quella ultra centenaria radicata sulle pendici delle colline (il cuore storico della produzione identificata come Classico) con quella più recente, voluta dal disciplinare, stilato nel ‘68, che ha esteso l’areale del Soave sino a valle (Val d’Alpone, Val Tramigna, Val d’Illasi e Mezzane). “In terreni non vocati per questo tipo di vino – tiene a dire Pieropan – da sempre utilizzati, ancora prima dell’ottocento, per coltivazioni di mais, barbabietola e tabacco. Dove c’è prevalenza di materia leggera, argilla, sabbia e limo, non adatto alla Garganega che invece ha bisogno di crescere in terreni difficili, difficili da lavorare per i contadini stessi, come quello basaltico della zona collinare e che in origine era il fondo delle acque”. Per il produttore uno snaturamento della qualità e del senso stesso del Soave, nato sempre da piccole quantità di produzione, in terreni che non superano i 5 ettari. E infatti così sono i vigneti dell'azienda, suddivisi tra le colline di Rocchetta, dove tengono il loro cru La Rocca, e le pendici di Calvarino. “Le proprietà sono qui frastagliate –  indica con il dito i versanti –  perché si usava dividerle in egual misura per gli eredi. E si era abituati a lavorare con esigue quanità. Ma il mercato e la nascita delle cooperative ha portato ad una forzatura, spostando il baricentro della coltivazione e ad un aumento dei quintali di uva per ettaro, oggi stabilita a centocinquanta. Sta di fatto che chi come noi produce nella zona classica fa minore resa, più qualità, e succede come sempre che uno alto e uno basso fanno un “gualivo”, vocabolo del nostro dialetto per dire la media, un bilanciamento”.


Archivio delle annate

Del vino che ci racconta Pieropan abbiamo assaggiato l’annata 1986. Di questo esemplare il produttore ne conserva solo una quindicina di bottiglie (mentre la produzione oggi è di 42mila bottiglie all'anno). Ha scelto  una etichetta di 27 anni per  presentare al calice la conferma di quanto detto dinnanzi alla cartolina collinare del Soave.

Tappo perfetto. La scena è lasciata ad un vino che risulterà vigoroso e vivo. Alla vista li dimostra i suoi anni, i riflessi dorati ci dicono qualcosa sul tempo che è trascorso. Ma al naso e al gusto la sorpresa. Il bouquet non si è evoluto poi chissà quanto, sembra essere rimasto “congelato” da allora, perché ancora si colgono i sentori di sambuco, nocciola e mandorla. Fine. L’energia che gli dà il terreno si esprime ancora. Nessun cedimento al palato. La prova degli anni la supera lasciando in bocca freschezza, sapidità, grande equilibrio. 

Un vino bevibilissimo, minerale, a cui si lascerebbe volentieri il posto di protagonista a tavola, ma senza alcuna reverenza, con quella facilità e immediatezza d’approccio. A dimostrazione che anche un “attempato” possa bene sostenere tutto un pasto, e questo avviene quando il merito è del territorio e della capacità del produttore di leggere i ritmi delle sue viti e di rispettare ciò che gli è stato tramandato. Ed è forse questo il senso stesso del Soave, effettivamente la bevuta lo fa intuire chiaramente. E fa capire anche quante e troppe volte si fa inutilmente retorica “del territorio” quando si parla di vino, di qualunque provenienza e tipologia esso sia. Come dice il produttore, “il tempo lo dimostra”. 

C.d.G.


Azienda Vitivinicola Leonildo Pieropan
Via Camuzzoni 3
37038, Soave – Verona
Tel 0456190171 – Fax: 0456190040
www.pieropan.it