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La manifestazione

Presentato a Milano il libro dedicato a Giacomo Tachis: “Lui voleva solo fare vini buoni”

18 Ottobre 2016
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(Alessandro Dellai, Luciano Ferraro, Paolo Panerai e Cesare Pillon)

di Michele Pizzillo

Dopo aver ascoltato Paolo Panerai, il primo impulso è quello di leggere il libro “Giacomo Tachis e la luce di Galileo” (Classeditori e Domini Castellare di Castellina Editori, pag. 209, € 24) che il giornalista-editore-vignaiolo ha scritto insieme a Cesare Pillon e Tommaso Ciuffoletti, presentato a Milano nei saloni dell’ovattata sede dello stilista Ralph Laurents, per avere un’esaudiente visione dell’evoluzione dell’enologia italiana degli ultimi decenni del Millennio.  

Incalzato dal Luciano Ferraro, capo redattore del Corriere della Seta, Panerai ha sintetizzato il “rinascimento” del vino avviato da Tachis nel fatto che quest’ultimo “più che enologo, era uno scienziato con una grande cultura umanistica e che aveva in Galileo il suo faro di riferimento”. Tant’è vero che il libro dedicato al padre della moderna enologia italiana, è ispirato da una frase solitamente attribuita a Galileo “il vino è un composto di umore e luce” che sarebbe arrivata a noi tramite una lettera scritta dal conte fiorentino Lorenzo Malagotti dopo averla sentita riportare, a voce, da un allievo dello scienziato pisano.
Per Tachis le parole di Galileo furono una rivelazione che lo accompagneranno nella sua straordinaria rivoluzione dell’enologia italiana che comincia con il Sassicaia, seguito dal Tignanello e dal Solaia – attenzione a non dimenticare il Galestro che fu una specie di Doc privata capace di smaltire la sovrabbondanza di uve Trebbiano “espulse” dal disciplinare di produzione del Chianti – e poi dagli interventi in Sardegna, nelle Marche e in Sicilia “dove, a noi, pur non avendo nessun rapporto di collaborazione retribuito, consiglia di impiantare Pinot nero, Gewurztraminer e Sémillon nei Feudi del Pisciotto appena acquisiti da Panerai che poi ci permetteranno di produrre un vino dal chiaro carattere di Borgogna come L’Eterno e un passito unico per l’isola dedicato a Gianfranco Ferrè ”, rammenta Alessandro Dellai, enologo e amministratore delegato delle quattro aziende di proprietà dell’editore del quotidiano “Italia Oggi” e di riviste come Capital e Class; ma, soprattutto allievo, amico e delfino designato proprio da Giacomo Tachis.


(Alessandro Dellai)

Ci tiene, Panerai, a sottolineare che pur essendo stato il padre, nell’interpretazione ideale dei principi di Galileo, di tre vini di successo delle sue aziende (I Sodi di S.Niccolò 1985 è il primo vino italiano ad entrare, al quarto posto, nella prima top 100 della rivista Wine Spectator, nel 1988; una lista che ha fatto la fortuna dei migliori vini al mondo), Tachis non ha mai avuto un rapporto economico con le sue aziende, per evidenziare la grandezza dello scienziato che voleva solo fare buoni vini. E, aggiunge Dellai “contribuire a far conoscere al mondo territori viticoli straordinari come il Chianti, la Sardegna, le terre del Verdicchio nelle Marche, la Sicilia”. Di tutto questo ne parla Cesare Pillon nel libro pubblicato da Classeditori, con una tale ammirazione e numerosi aneddoti inediti, che evidenziano il rapporto di stima che c’era tra lo scienziato e il giornalista che si era sempre occupato di politica ma, dopo aver conosciuto Veronelli, nel 1979, si innamora del mondo del vino e non lo abbandona più.


(Paolo Panerai)

Mentre Ciuffoletti ricostruisce la storia e il testo della lettera in cui Malagotti fissa il ricordo della celebre frase di Galileo che ha ispirato il libro che, appunto, racconta la “storia del più grande enologo italiano e del suo credo nella storia vinicola del padre dell’astronomia”. Un libro che va letto per conoscere l’omino – appellativo affibbiato a Tachis da Piero Antinori – che ha fatto varcare i confini nazionali al vino italiano. Che con il suo rapporto di amicizia con Emile Peynaud, ha portato da noi i metodi del più grande enologo del mondo, che qualche decennio fa disse a Panerai che la differenza fra l’enologia dei due paesi sta nel fatto che i principali vitigni francesi erano stati geneticamente classificati da almeno 100 anni, mentre le ricerche sui vitigni italiani erano molto indietro. Tachis, con la genialità, ha accorciato questa distanza.