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La ricerca

Brunello di Montalcino, così il Consorzio dichiara guerra ai falsi in commercio

24 Maggio 2013
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Ecco alcuni dei possibili metodi per identificare la reale origine territoriale del Brunello di Montalcino.

Sono stati presentati a a Montalcino al Teatro degli Astrusi in occasione del convegno sulla “Tracciabilità del Sangiovese a Montalcino: ricerche e sperimentazioni per l’identificazione dell’origine”, al quale hanno partecipato i vertici del Consorzio, i produttori associati, le autorità, i tecnici e la stampa del settore. Ma solo uno il Consorzio del Brunello di Montalcino utilizzarà, quello del Dna. Quest'ultima pare essere quella più accreditata. E' stata viluppata dal team della dottoressa Rita Vignani coordinatore scientifico dell’area agronomica di Serge-genomics dell'Università di Siena, Dipartimento di Scienze della Vita. Praticamente secondo i ricercatori il DNA residuo presente nel vino è utilizzabile per ricostruire con buona approssimazione statistica l’identità del vitigno d’origine mediante amplificazione di marcatori molecolari, sia per i vini sperimentali che commerciali. Potrebbe essere potenzialmente il miglior metodo per la tracciabilità, ma non sono state individuate delle tecniche che permettano di ottenere risultati riproducibili per un controllo sicuro e esteso su tutta la produzione. Nei vini commerciali la quantità del DNA proveniente dall’uva diminuisce notevolmente nel corso della fermentazione e la sua qualità (contaminato da polifenoli e altre sostanze del vino) non è sufficiente a stabilire la purezza di un vino (se è cioè monovitigno nel caso del Brunello), ma solo se quel tipo di varietà (in questo caso sangiovese) è presente nel vino senza escludere quella di altri, non rispondendo quindi agli obiettivi della ricerca stessa che era appunto se sia possibile attraverso DNA stabilire la purezza del Brunello.

 


Un altro metodo, è quello messo a punto dalla Fondazione Edmund Mach Istituto San Michele all’Adige e presentato nel corso del convegno che si è tenuto a Montalcino al Teatro degli Astrusi sulla “Tracciabilità del Sangiovese a Montalcino: ricerche e sperimentazioni per l’identificazione dell’origine”, al quale hanno partecipato i vertici del Consorzio, i produttori associati, le autorità, i tecnici e la stampa del settore. 


La ricerca è orientata all’identificazione dell'origine del vino attraverso gli isotopi, o meglio il rapporto tra isotopi pesanti e leggeri. Si tratta dell’applicazione di un metodo ufficiale già in uso dagli anni ’90 nato per controllare lo zuccheraggio e l’annacquamento del vino (usato dalla represisone frodi e in italia effettuato per conto dell'organo dall'Istituto trentino). La nuova applicazione ha l’obiettivo di  dimostrare il legame del vino con il territorio, della veridicità dell’origine territoriale della Docg dichiarata in etichetta. Ricordiamo che il territorio del Brunello rappresenta neanche il 10% del territorio della regione. 

Ma perché gli isotopi stabili? Ogni cosa esistente in Nantura è un composto degli elementi idrogeno, carbonio e ossigeno, che man mano si legano in diversa forma. “L'isotopo è ciascuno degli atomi di uno stesso elemento, con lo stesso numero atomico ma con differente numero di massa. Possiedono lo stesso numero di protoni ed elettroni (quindi proprietà chimiche uguali) ma un diverso numero di neutroni (quindi proprietà fisiche diverse). Possono essere naturali o artificiali, stabili o instabili. Gli isotopi stabili comunemente analizzati comprendono ossigenocarbonioazotoidrogeno e zolfo. Questi sistemi isotopici sono sotto indagine da molti anni allo scopo di studiare i processi di frazionamento isotopico nei sistemi naturali” (ctz.)

Ora, il Brunello è caratterizzato da una certo rapporto tra isotopi pesanti e leggeri, e ha una maggiore quantità di questi ultimi, prendendo per esempio in considerazione l'idrogeno. Dallo studio di queste proporzioni degli isotopi dei suoi vari elementi si può determinare l'origine dell'uva. Gli isotopi possono essere indicatori dell’origine geografica, legata a questa è ovviamente il clima, e lo studio prende in esame il clima della fase di pre-raccolta delle uve (che proprio ha una influenza significativa sul rapporto tra isotopi pesanti e isotopi leggeri). 
 
Come spiegato dai ricercatori dell'Istituto la variabilità del rapporto tra isotopi pesanti e leggeri cambia a secondo di determinate condizioni: Questa, appunto, può variare in base al clima. In climi molto caldi aumenta la concentrazione di isotopi pesanti, nei climi più freddi e piovosi, aumentano, sempre in periodo pre-raccolta, il numero di isotopi leggeri. Tale variabilità climatica è legata quindi alla variabilità geografica. Può variare anche in base all’acqua, altro indicatore del territorio, questa non è sempre uguale da area ad area, cambia in base all’altitudine, con valori maggiori al sud di isotopi pesanti, alla latitudine e alla distanza dal mare. I rapporti isotopici, con prevalenza di quelli pesanti su quelli leggeri, in questo caso diminuiscono verso il nord. La variabilità degli isotopi infine è legata anche all’annata.
 
Grazie alla banca dati che detiene l'Istituto e realizzata per raccogliere il numero di campioni rappresentativi dell’intera produzione nazionale, che sono per l'Itaia 400 come richiesto dai regolamenti europei, i ricercatori hanno potuto stabilire per ognuno delle variabili isotopiche intervalli di variabilità tipici di ogni regione.
 
Ed ecco l’applicazione di questo metodo. Si potrebbe utilizzare, in base a questa banca dati, un’analisi di accertamento dell’autenticità di un Brunello di Montalcino per esempio in commercio. Se il valore isotopico è conforme a questo intervallo tipico dell’area descritto da questa banca dati, se vi rientra, allora risulta fedele all’origine dichiarata, oppure nel caso vada fuori significherebbe che ci si ritrova dinnanzi ad un prodotto  adulterato o ad uve non di quel territorio,  di altra provenienza. 
 
Il prossimo step della ricerca, per rendere applicativo il metodo, sarà il restringimento dell’intervallo della variabilità: più è corto più diventa preciso sull’analisi dell’origine dell'uva, territoriale.  Fase che vedrà  ancora la collaborazione del  Consorzio Brunello di Montalcino che fornirà all'equipe dell'Istituto un numero di campioni rappresentativo e statisticamente significativo del Brunello di Montalcino. 


Un momento del convegno

L'altro lavoro è stato  sviluppato dal Fulvio Mattivi, ha permesso di mettere a punto una metodologia che permettesse di eliminare gli “errori” che in qualche modo non permettevano di avere dei dati certi per i vini con una età superiore ai sei mesi. La ricerca ha permesso di individuare oltre 90 componenti e di selezionarne 17 ritenuti utili ai fini della individuazione del prodotto e quindi della tracciabilità per il brunello di Montalcino. I risultati della sperimentazione e la metodologia messa a punto sono stati pubblicati nel 2012 sulla rivista americana Journal Of Agricultural And Food Chemistry e presentati alle autorità statunitensi, primo fra tutti proprio il TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau) in un incontro svoltosi il giorno 1 febbraio scorso all’Ambasciata Italiana a Washington. In tale sede sono stati presentati e discussi anche i risultati di un ricerca sulla tracciabilità geografica condotta dalla dr.ssa Federica Camin.