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La ricerca

La ricerca sui biotipi e i vitigni reliquia. Una visita al campo sperimentale con Attilio Scienza

24 Agosto 2012
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Da sinistra Pierre-Marie Guillaume, Attilio Scienza,
Giacomo Mela, Giacomo Ansaldi, Dario Cartabellotta, Vito Falco

La carta che si giocherà la Sicilia del vino nel futuro.

Più di quattromila varietali, molti dei quali salvati dall’estinzione, un arsenale contro l'erosione genetica. Patrimonio immane selezionato da una squadra di 70 persone. Ecco il frutto del progetto, unico al mondo, nato dalla sinergia tra istituzioni, mondo della ricerca e produttori. Testimoni coltivati in pochi ettari, circa una ventina, ospitati a Marsala presso l’azienda Gemma Spano Bresina e a Comiso nei terreni dell’azienda San Pietro. In tutto 47.000 piante. Un caso felice, e viene in mente anche il termine raro se si pensa al funzionamento delle cose in Sicilia quando è coinvolto il Pubblico. La ricerca, portata avanti dal Centro per l’Innovazione della Filiera Vitivinicola Ernesto del Giudice di Marsala del Dipartimento interventi infrastrutturali dell'Assessorato alle risorse agricole della Regione Siciliana, è esemplare, anzi insegna al mondo intero, e  lo si può affermare con certezza, al ritorno da una visita al campo sperimentale della fondazione Gemma Spano, dove è “impiantato” il cuore del progetto. E’ anche il pensiero condiviso ed espresso all’unanimità dai produttori, i rappresentanti del gotha del vino siciliano invitati alla “gita” tra i vitigni reliquia e i biotipi in via di omologazione delle varietà più tradizionali. Una tappa della ricerca che mostra i risultati, fino ad ora ottenuti, di un percorso che inizia dieci anni fa.

A fare da ciceroni tra i filari, il direttore del centro Vito Falco, Dario Cartabellotta, direttore del dipartimento interventi infrastrutturali dell'assessorato all'Agricoltura e promotore del recupero della ricerca quando ai tempi ricopriva la carica di direttore dell’Irvv, l’enologo a capo del laboratorio di ricerca del Centro, Giacomo Ansaldi, e Attilio Scienza. Il professore, per conto dell’Università di Milano, coordina la parte scientifica e l’equipe di ricercatori, ed è venuto in Sicilia in questi giorni per monitorare lo stadio della sperimentazione che vede già alcuni vitigni entrati nel periodo della vendemmia. Coinvolti nel progetto anche il professore Rosario Di Lorenzo della facoltà di Agraria di Palermo e la ricercatrice Maria Gabriella Barbagallo. 


Un momento della visita tra i filari

La passegiata ha fornito la fotografia del vigneto Sicilia di oggi e soprattutto di ieri. Ogni fotogramma è stato restituito dai grappoli di cui si è potuto apprezzare l’identità genetica attraverso un’analisi visiva e gustativa. Acino per acino si sono assaggiate le differenze e le potenzialità dei diversi biotipi appartenenti alla stessa varietà. Il percorso è iniziato tra i filari dove sono coltivati biotipi di uve Grillo, Nero d’Avola, Frappato e di Nerelli. Si è trattato di una vera e propria degustazione tecnica condotta direttamente in campo sotto la guida di Giacomo Mela, wine consultant ed esperto in analisi sensoriale.


Giacomo Mela guida l'analisi del chicco d'uva


Un momento in cui si procede a testare la buccia


Analisi del vinacciolo

Si è proceduto dalla valutazione morfologica del grappolo alla prova tattile sulla consistenza del chicco d’uva, all’assaggio della buccia, della polpa e dell’acino. Lo studio che si concentra su questa parte del progetto analizza le caratteristiche che differenziano un biotipo dall’altro: per citarne alcune, differenze morfologiche, visibili a occhio nudo, come grossezza dell’acino, struttura del grappolo, peso della bacca, o nel potenziale alcolico, nel ph e nell’acidità. Studiate poi con la vinificazione. La finalità, hanno spiegato durante la visita, è di capire se un biotipo possa essere migliore dell’altro, o a quale tipo di vino possa dare vita, quali le opportunità per il produttore che potrebbe un domani ricorrere ad un biotipo piuttosto che ad un altro secondo il proprio progetto di produzione e le caratteristiche dei propri terroir.


Giacomo Ansaldi mostra ai produttori un grappolo

Intenti alla prova sensoriale vi erano rappresentanti di alcune delle aziende più importanti dell’Isola, da Salvatore Li Petri direttore generale di Cantine Settesoli, a Giuseppe Tasca d’Almerita, da Calogero Mannino, produttore a Pantelleria con la cantina Abraxas, a Dino Taschetta presidente di Colomba Bianca, nomi della storia vitivinicola siciliana come Diego Planeta, gli enologi Lorenza Scianna, Nicola Centonze e Salvatore Martinico, tra loro anche Pierre-Marie Guillaume, direttore commerciale e ricercatore della Pèpinières Guillaume, azienda che produce più di dieci milioni di barbatelle ogni anno, con sede a Charcenn, in Francia. Ma c’erano anche dirigenti dell’Istituto Regionale Vini e Olii di Sicilia, Lucio Monte, Giuseppe Russo e Daniele Oliva, responsabile U.O Biotecnologie dell'Istituto.


Salvatore Li Petri


Dino Taschetta e Nicola Centonze

La passeggiata è poi proseguita verso i filari che custodiscono i vitigni reliquia, varietà dai nomi curiosi come Cutrera, Catanese Nera, Lucignola, Recunu, esemplari che ricordano, come sostiene Scienza quanto la “viticoltura sia prima di tutto un fatto antropologico”. Così commentando: “Qui possiamo vedere il frutto dell’intelligenza degli uomini che sono vissuti generazioni fa. La natura non ha fatto altro che fornire la variabilità all’Uomo che a sua volta ha saputo cogliere il segnale. Chi si è prodigato per selezionarle ha fatto lo stesso lavoro a distanza di cinque secoli. Siamo dinnanzi ad un esempio di cura antropologica”. Con il progetto sperimentale si è ripreso in mano il patrimonio che era diffuso sull'Isola nel periodo pre- fillossera. “Mai nessuno – prosegue Scienza – ha raccolto migliaia di biotipi diversi. In tre mesi l’equipe dei volontari che hanno passato da parte a parte la Sicilia ha fatto qualcosa che si fa in almeno trent’anni. Ha dormito per quarant’anni ma adesso l'Isola vanta una selezione di materiale che poche regioni al mondo hanno e che consente di ricostruire il cammino del vino . E ricordiamo che da questo triangolo di acclimatazione sono partiti molti dei vitigni che ritroviamo nel Nord, parliamo del territorio che ha dato sviluppo alla viticoltura europea”.


Pierre-Marie Guillaume e Attilio Scienza

Il mosaico riportato alla luce fa sperare, e questo è uno degli obiettivi portanti della ricerca, nell’arricchimento della varietà intra-varietale che, dagli anni ’90 in poi, è andata incontro ad una semplificazione, ad una banalizzazione dovuta alla scelta, adottata dalla maggior parte delle aziende, di vinificare pochi individui, si apriva allora l’epoca dello Chardonnay, del Merlot, del Syrah, del Cabernet Sauvignon. “Una grande perdita per la qualità del vino che invece è legata proprio alla diversità”, ha voluto infatti specificare ai presenti Scienza. Accanto alla tendenza del monovarietale, con questa piattaforma ampelografica si potrebbero quindi riportare nelle cantine i vitigni minori.


Francesco Spadafora mentre prende appunti

Molti dei partecipanti alla giornata non hanno potuto fare a meno di aggirarsi tra le vigne con penna e foglietti in mano. Tantissimi gli appunti presi e le note buttate giù dai produttori, possibili futuri traguardi della loro storia produttiva. “Impressionante, geniale, lungimirante”, con tre parole Francesco Spadafora produttore nell’agro di Monreale, commenta il progetto. “Potremmo porre fine ad un dramma civile: quello che induce a fare il vino con le caratteristiche che chiede il mercato”. “Una grande risorsa – dichiara Li Petri – Qui abbiamo il nuovo vigneto siciliano. Un passato rivolto al futuro fondamentale per noi produttori, perché ci consente di innovare. Si prospetta una maggiore capacità di scelta e si potranno raccontare al mondo storie interessanti. Adesso individueremo alcune varietà e vedremo se sono ripetibili nel nostro territorio di Menfi – e aggiunge – coordineremo con alcuni soci campi sperimentali”. Per Calogero Mannino quello racchiuso nel campo sperimentale è ”un patrimonio indispensabile ai fini della ricostruzione storica, la base di ogni futuro. A maggior ragione – puntualizza – con l’affacciarsi di Paesi nuovissimi che stanno aumentando gli ettari impiantati, pensiamo ai cinesi che sono arrivati a cinquecento mila ettari. La Sicilia è variegata e ora possiamo disporre di tanti varietali adattabili ai diversi territori, del resto oramai è impensabile  reimpiantare con lo Chardonnay”. Secondo Guillaume i varietali recuperati potrebbero dare una risposta al cambiamento climatico. “Oramai molte regioni d’Europa, compreso la Francia, si trovano a fronteggiare un clima caldo e siccitoso. Le varietà raccolte qui possono diventare un’importante alternativa adatte a queste temperature”.


Antonio Rallo, Lucio Monte e Giuseppe Russo 

Il lavoro del Centro è tutt’altro che concluso, anzi come ha ribadito Scienza “Inizia adesso il lavoro”. “Questi vitigni devono ritornare nei luoghi da cui sono partiti ma accompagnati con una miscela di biotipi adatta per fare quel vino in quel determinato territorio – ha annunciato -. Dobbiamo pensare ad una viticoltura diversa da quella che si è praticata fino ad oggi, che guardi ai mercati del futuro ai consumatori del domani”. Aggiunge Vito Falco, “Abbiamo solo finito di dare ordine a molte piante accomunate da omonimia. Abbiamo omologato i cloni e salvaguardato anche la biodiversità e conservato il patrimonio genetico”. Il Centro ha ricevuto il plauso anche da Antonio Rallo, presidente di Assovini Sicilia e del Consorzio Doc Sicilia. L'associazione ha collaborato al progetto con quattro delle aziende che hanno dato la disponibilità di un campo sperimentale nelle proprie tenute: Tasca d’Almerita, Donnafugata e Feudo di Santa Tresa. “Adesso potremo fare un lavoro di miglioramento sulle nostre storiche varietà e così riuscire a produrre vini sempre più buoni. Tutto questo non potrà che fare bene alla Doc Sicilia”.
 


Lorenza Scianna e Attilio Scienza al campo sperimentale dei portainnesti
 


Attilio Scienza mostra i nuovi portainnesti

La visita ha previsto una seconda tappa ad un altro campo sperimentale, poco distante da quello di Gemma Spano, coordinato sempre dal professore Scienza. Qui si è aperto un osservatorio su nuovi portainnesti, sui quali sono state innestate le principali varietà siciliane. La ricerca consiste nel confronto con quelli già in uso sull’Isola, per comprendere come resistono questi nuovi ai diversi fattori ambientali e su come si sviluppa l’affinità del portainnesto con la vitis vinifera.

M.L.

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