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La ricerca

Lo studio. Le reti del vino, culture d’impresa a confronto

17 Aprile 2012

Si sa che in Sicilia la cultura imprenditoriale è scarsamente portata all’associazionismo in tutti i settori e anche in quello vinicolo. In questo ambito però qualche inversione di tendenza sembra prendere piede.

Lo conferma una ricerca di dottorato condotta da Andrea Scavo, dottore di ricerca in Scienza della Politica presso il SUM – Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze. “Le Reti del Vino: un’analisi dei network di policy dell’internazionalizzazione del vitivinicolo siciliano” è il titolo dello studio condotto nel territorio siciliano su cantine grandi e piccole, associazioni di impresa, enti pubblici per rilevare il grado di interazione tra di essi nell’ambito di una determinata politica, in questo caso in quella di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese.

I dati ottenuti danno un quadro di mutamento che vede attualmente due culture imprenditoriali a confronto, una sostenuta da una classe dirigenziale under 50 e una di “vecchio stampo” poco incline al concetto di rete. Coesistenza di mentalità tangibile, nota a tutti ma adesso confermata dal ricercatore.

Punto di partenza dell’indagine sono i modelli, o meglio, strutture di interazione tra gli attori con l’obiettivo di individuare il più efficace a promuovere nel sistema Sicilia l’internazionalizzazione delle aziende. E quello riscontrato è un modello di governance tendente al gerarchico che però si è rilevata poco efficace, limitata.

Lo spiega Scava stesso: “Per misurare il fenomeno ho preso come riferimento lo scambio di informazioni e l’influenza esercitata da un attore nei confronti dell’altro. Il primo dato ci dice che le interazioni sono deboli tra gli attori siciliani, attori pubblici e associazioni di impresa sono molto poco propensi a scambiare informazioni tra loro e anche quel poco che si dicono non viene ascoltato perché chi riceve l’informazione non vi da seguito”.

La ragione sarebbe, come sempre, la scarsa fiducia verso la politica. Così precisa lo studioso: “Le aziende ritengono che gli attori pubblici, per presunte ragioni di incompetenza tecnica, facciano perdere tempo, tendono a richiedere informazioni senza poi erogare servizi utili, e per di più le attività promozionali proposte vengono viste come inutili, e se vi aderiscono, questo lo si è appurato presso le aziende più tradizionali, è per accedere a certe fiere risparmiando”.

Nella rosa dei soggetti interpellati ci sarebbero aziende più attive secondo l’indice di internazionalizzazione elaborato da Scavo. Calcolato, questo, tenendo conto del fatturato, del numero dei contatti con l’estero, la partecipazione alle fiere internazionali, la grandezza dell’ufficio export. Però a parte casi virtuosi, tra cui spiccano nomi come Fazio Wines, Firriato, Planeta, Settesoli, Tasca d’Almerita e Valle dell’Acate, molte aziende continuano ancora oggi ad muoversi come soliste.

Una diversa propensione che sarebbe determinata anche dalla classe dirigente. “Nelle diverse interviste – aggiunge infatti il ricercatore – ho riscontrato l’atteggiamento di chi non vuol comunicare e interagire perché non si fida. Invece le aziende che hanno ai vertici manager giovani, che parlano le lingue, che hanno studiato a livello avanzato tecniche manageriali portano la aziende ad essere maggiormente attive”. E quindi disposte a mettersi in rete con gli altri attori. Tra quelli pubblici, se a caratterizzarli è una carenza di efficienza da un lato, dall’altro è una mancanza di fiducia accordata dall’esterno, e dallo studio risaltano due outsider. L’Istituto Regionale Vini e Olii di Sicilia e Assovini. “Questi soggetti assumono una posizione centrale e determinante nel network – spiega -. Gli unici casi che vanno a formare, come diciamo noi in gergo tecnico, una cricca, cioè un gruppo coeso in cui lo scambio di informazioni e la cooperazione sono le più intense rispetto al resto della rete”.
 
Il fenomeno da un punto di vista territoriale vede la zona etnea e vittoriese caratterizzate da aziende di dimensioni contenute ma con un grado di interazione tra loro e con gli attori pubblici interessante. Motori di un’economia orientata al marketing anche promozionale. Mentre nella parte occidentale sussiterebbe una rete che rispecchia un’economia dei grandi marchi.

La ricerca è stata condotta nel triennio 2007-2010, periodo in cui è scoppiata la bolla della crisi.  La congiuntura economica negativa però, per Scavo, non sembra essere stata la causa che avrebbe spinto le cantine ad adottare la filosofia dell’associazionismo, del network. “In generale penso che il discorso della crisi abbia accelerato un cambio di strategia orientata ai mercati emergenti, ma non ha cambiato la cultura imprenditoriale. Il restringimento dei mercati esteri storici, occidentali, come gli Usa hanno spinto  produttori a guardare nuovi mercati come ai Brics, all’Australia”.  

Per prendere visione della ricerca contattare Andrea Scavo – andrea.scavo@gmail.com

C.d.G.