Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 128 del 27/08/2009

LA RIFLESSIONE Ricerca di mercato… ittico

27 Agosto 2009
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LA RIFLESSIONE

In Sicilia dove si commercializza il pesce? A Mazara del Vallo una struttura è in costruzione da 24 anni, mentre a Sciacca non c’è nemmeno un progetto. Più difficile, dunque, effettuare i controlli

Ricerca
di mercato… ittico

Con questo articolo comincia la sua collaborazione con cronachedigusto.it un giornalista siciliano grande esperto del mondo della pesca che preferisce firmare con uno pseudonimo.

di Nick Fish


Che fine hanno fatto i mercati ittici siciliani? La domanda non è oziosa perché nelle due città marinare per antonomasia – Mazara del Vallo e Sciacca – dei luoghi dove ufficialmente domanda e offerta di pesce dovrebbero incontrarsi non c’è traccia. A Mazara il nuovo mercato ittico è in costruzione da circa ventiquattro anni. Ma i lavori, a quanto pare, sarebbero iniziati solo tre anni fa. Non ci chiedete quando finiranno, perché la conoscenza, magari esatta, della data di completamento di un’opera pubblica non rientra nella tradizione siciliana. Da noi, se va bene, si comincia. Per finire – sempre se va bene – quando vuole nostro Signore Iddio.
Ma se a Mazara si sono almeno posti il tema di un improbabile nuovo mercato ittico, a Sciacca non c’è nemmeno l’idea: il mercato ittico non c’è più e basta. Eppure si tratta del più importante porto peschereccio d’Italia (nel caso di Mazara) e del secondo porto peschereccio della Sicilia (Sciacca). A questo punto, una domanda è d’obbligo: come viene commercializzato il pesce di queste due grandi marinerie? Due le possibili risposte. Prima risposta: il mare è ormai stato ‘svuotato’ e quel poco pesce pescato viene venduto direttamente ai commercianti. Seconda risposta: i pescherecci di Mazara e di Sciacca, anche se il mare non è più pescoso come un tempo, continuano bene o male a pescare, vendendo il pesce ai commercianti senza passare per il mercato ittico (e dunque senza verifiche e controlli).
A noi la seconda risposta appare come la più probabile. Dunque, la situazione è la seguente: a Mazara del Vallo e a Sciacca i mercati ittici sono spariti; un po’ di attività si registra nel mercato ittico di Catania; funzionano i mercati ittici di Porticello, in provincia di Palermo, e di Scoglitti, in provincia di Ragusa (ma non si tratta, è bene sottolinearlo, di due grandi porti pescherecci) e poi ancora qualcosa qua e là lungo le coste dell’Isola.
La vera notizia, però, è che nelle due più grandi marinerie dell’Isola i mercati ittici sono solo un ricordo. In assenza di verifiche e controlli chi stabilisce, almeno per grandi linee, la quantità di prelievi di pesce effettuati dai pescherecci di Mazara e di Sciacca? Anche questa domanda non è oziosa. Basti pensare che l’Iccat – l’organizzazione internazionale che sovrintende alla pesca del tonno – basa la propria attività proprio sul rigoroso controllo delle catture. Ogni anno l’Iccat, per ciò che riguarda la pesca del tonno rosso del Mediterraneo (le cui carni sono tra le più prelibate e più richieste del mondo), assegna ad ogni Paese un quantitativo di tonno rosso da pescare. Certo, magari c’è chi pesca qualche tonno in più; però i controlli ci sono, e sono rigorosi. Nel caso dei pescherecci di Mazara e di Sciacca non c’è alcun controllo. Dunque non si conosce il quantitativo di pesce che viene pescato, né come viene commercializzato.
Sia chiaro che questa non è un’inchiesta. Si tratta di semplici constatazioni condite con qualche riflessione. Così, constatazione per constatazione, non possiamo fare a meno di notare che la scomparsa dei mercati ittici di Mazara e Sciacca si accompagna, ormai da anni, alla presenza sempre più rara, se non alla scomparsa, di alcune specie ittiche dalle tavole dei consumatori siciliani. Il discorso, ovviamente, riguarda alcuni pesci e alcuni crostacei pescati ‘a strascico’, con le cosiddette ‘paranze’.
Da quando i pescatori mazaresi hanno messo a punto una particolare tecnica di conservazione del gamberone rosso (si tratta di una modalità di surgelazione che conserva intatte le caratteristiche organolettiche di questo crostaceo) non è facile trovare questa specie ittica sui banconi delle pescherie siciliane. Si pesca sempre meno gamberoni rossi? Non è da escludere. Così come non è da escludere che la maggior parte del gamberone di Mazara viene commercializzato fuori dalla Sicilia. Mentre quello (poco, in verità) che arriva nella nostra Isola prende, per lo più, la via dei ristoranti. Esagerazioni? Non esattamente, se è vero che i gamberi rossi che vengono serviti “marinati” nei ristoranti siciliani sono, nella grande maggioranza dei casi, di media e piccola pezzatura. Raramente, ormai, riusciamo a gustare i gamberoni rossi ‘marinati’ (il riferimento, naturalmente, è a quelli freschi).
Non va meglio con le aragoste. Certo, come i gamberoni, sono sempre più rare sui banconi delle pescherie isolane. E come i gamberoni costano un occhio. Idem per gli astici. Anche aragoste e astici scarseggiano sempre di più nel Mare Nostrum? È probabile. Anche se dati ufficiali ce n’è pochi, visto che, come già detto, i mercati ittici di Mazara e Sciacca non funzionano.
Discorso a parte per i merluzzi. Ci sono – e si trovano in tante pescherie della Sicilia – i merluzzi di paranza di piccola e, qualche volta, di media taglia. Ma sono sempre più rari i merluzzi di grossa taglia, quelli che si dovrebbero pescare con i palangari. Scarseggiano anche questi o si continuano a catturare e si commercializzano nel Centro Nord Italia?
Non va meglio se parliamo delle triglie di paranza (da distinguere dalle triglie di scoglio pescate, in genere, con le reti di posta). Un tempo a Mazara e a Sciacca si trovavano triglie di paranza di buona pezzatura (300 grammi e spesso qualcosa in più). Oggi, quando va bene, si trovano triglie di paranza di piccola e media pezzatura.
Si potrebbe continuare con specie sempre più rare. Le ‘crape’, per esempio (confessiamo di non conoscere il nome scientifico di questa specie ittica). Scomparse da almeno una ventina di anni. O le mustie, altro pesce che ormai non è facile trovare.
Il dubbio, almeno per le specie ittiche di pregio, è che vengono per lo più commercializzate nei mercati del Centro Nord Italia. Può sembrare un paradosso, ma è molto più semplice trovare aragoste, gamberoni e astici freschi a Milano che a Palermo. Un po’ quello che succede con le migliori arance pigmentate di Lentini, Carlentini e Francofone: a Milano le vere ‘Moro’ si trovano, nelle città siciliane, tranne ormai rare eccezioni, arrivano, quando va bene, gli scarti.                  
Lasciamo la Sicilia e trasferiamoci in Libia. È di questi giorni la polemica tra i pescatori siciliani e il governo libico. Gheddafi ha esteso da 12 a 72 miglia le acque territoriali libiche. La tesi ufficiale – rigorosamente italiana – è che il colonnello si sia appropriato di un tratto di mare, impedendo ai pescatori siciliani di svolgere la propria attività.
La vicenda, però, andrebbe guardata anche dal punto di vista libico, magari con un pizzico di onestà intellettuale. Vero che i libici non amano il pesce. Ma è altrettanto vero che non sono stupidi. Molti giovani di questo Paese hanno studiato nelle Università europee e americane. I biologi marini della Libia sanno benissimo che buona parte del Mediterraneo è stato massacrato dall’inquinamento e dalle devastanti tecniche di pesca in voga dalle nostre parti, dalle reti a strascico (che, oltre a impoverire il mare di pesci, molluschi e crostacei distruggono la flora) alle reti ‘volanti’, fino alle spadare. Magari vorrebbero salvare quelle parti del Mediterraneo sfuggite alle tecniche di pesca che distruggono tutto. Come dargli torto?
Invece di chiedere al governo nazionale italiano di battersi affinché i pescherecci siciliani tornino a pescare liberamente nelle parti del Mediterraneo non ancora massacrate dall’inquinamento e dalle tecniche di pesca ‘pesanti’ non sarebbe più serio cominciare a riflettere su come salvare quello che resta del nostro mare? Delle sorti del Mediterraneo si debbono occupare i popoli che vivono nello stesso Mediterraneo. Ma salvare il nostro mare non significa introdurre ovunque le tecniche di pesca devastanti nel nome dell’egoismo e, quindi, del profitto dei pochi. Al contrario, significa elaborare un progetto di tutela, riducendo il cosiddetto ‘sforzo di pesca’ e puntando sugli allevamenti di pesce in mare, vera e propria chiave di volta per ripopolare un mare fin troppo sfruttato. Altro che chiedere a Gheddafi di far pescare con le reti a strascico e con altre diavolerie i nostri pescherecci nel mare libico!